La favola di Giuseppe Faiella 
L’incredibile carriera di Peppino di Capri, una voce per tutte le stagioni  
di Pietro Gargano

La favola di Giuseppe Faiella

di Pietro Gargano 

Champagne ha 40 anni. Peppino 76. E, come si dice in questi casi, non li dimostrano. La canzone che era destinata a Charles Aznavour (era sta scritta per essere girata allo chansonnier francese) ha attraversato tre generazioni ed è anche diventata un dolce, un video-cartoon dal sapore vintage  (https://www.youtube.com/watch?v=prg5jsMMxyE) continua ad essere un disco evergreen, di quelli senza tempo. Esattamente come il suo autore Peppino di Capri che continua a tenere concerti, fare il tutto esaurito ed incidere dischi. “A voglia e canta”è l’ultimo singolo, il disco delal scorsa estate. Ma negli ultimi tempi ci sono stati Magnifique, anche Le donne che amano, Ad occhi chiusi, Amore.it e Cominciò così.

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Come in un’ideale staffetta, Peppino Di Capri spuntò quando Renato Carosone prese un provvisorio congedo. Contribuì a rinnovare la canzone napoletana, per primo mescolando la tradizione alle sonorità inglesi e americane dell’epoca.

Nato Giuseppe Fajella a Capri, il 27 luglio 1938, respirò musica in famiglia. Nonno Giuseppe era detto Quartino perché soffiava in un flauto privo di un quarto d’ottava. Il padre Bernardo gestiva un negozio di articoli musicali e suonava nella banda. Nessuno si stupì quando l’erede, a quattro-cinque anni, si mise a suonare il piano per i soldati americani. Fu poi svezzato da una severa insegnante di musica, una tedesca di Anacapri, che lo scacciò quando scoprì che suonava jazz al Number Two per mille lire a sera.

Peppino consumava la puntina del giradischi per ascoltare Little Richard e Paul Anka, Fats Domino e Gene Vincent, Don Marino Barreto: i suoi punti di riferimento. Aveva diciassette anni quando l’occasione si profilò in tv: Peppino si presentò col batterista Ettore Falconieri detto Bebé al programma Primo applauso, condotto da Enzo Tortora: ecco a voi il “Duo Caprese”. Presentarono Cry, subito dopo incisa negli Stati Uniti con My blue haven sul lato B, per l’etichetta Regalia.

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Peppino ed i Rockers

La fortuna vera aspettò ancora due anni ed ebbe la faccia di un dirigente della Carish in vacanza a Ischia che ascoltò Peppino, allora voce del gruppo “I Rockers” – oltre a Falconieri schierava Gabriele Varano al sax tenore, Mario Cenci alla chitarra e Pino Amenta al basso – e gli propose un provino discografico. Superato l’esame gli dissero di trovare un nome d’arte: Peppino Di Capri glielo suggerì il chitarrista dopo sole due domande. “Come ti chiamano gli amici?” “Peppino.” “Di dove sei?” “Di Capri”. “E allora sei Peppino di Capri…”

Quella voce duttile e particolare affrontò subito canzoni singhiozzanti alla Johnny Ray e freschi motivi napoletani: ad esempio Malatia, parole e musica di Armando Romeo; e Nun è peccato, versi di Ugo Calise e note di Carlo Alberto Rossi. E poi Freva, Ciento strade, Nun songh’io, Nun giurà, ‘Na pianta ‘e stelle, Sì turnata…

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I ragazzi del tempo si innamorarono ballando quelle canzoni, stretti sulla mattonella ma pronti a smuoversi perché Peppino aveva aggiunto un po’ di ritmo. Era molto più di una musica cocktail, di un sottofondo gradevole. Il caprese ebbe l’altro merito d’accostare il pubblico giovane alla canzone più classica napoletana, antica e moderna, riformata in maniera non irriguardosa: Voce ‘e notte, Anema e core, I’ te vurria vasà, Scalinatella, Luna caprese.

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Un azzardo vincente, anche se i tradizionalisti lo considerarono un “profanatore”. Nel 1963 cantò la sua nostalgia per Roberta – la moglie modella che gli aveva dato Igor e da cui si era appena separato – e vinse il Cantagiro. Essendo la Carish distributrice dei dischi della Decca, nel ’64 toccò a Peppino l’onore di accompagnare i Beatles nel loro unico giro italiano.

Lanciò i balli del suo tempo, da Let’s twist again ripreso da Chubby Checker (un milione di dischi solo in Italia) alla lambada. Fu il periodo dei macchinoni americani e delle trecento lettere di ammiratrici al giorno.

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La prima decadenza la conobbe nella seconda metà degli anni Sessanta; dagli anticipi di 300 milioni passò alle 140mila lire a sera da dividere con i quattro musicisti. Nel 1969 incise un solo 45 giri, basato su Tu presentata al languente Festival di Napoli e scritta col chitarrista Piero Braggi. L’estate sbarcò il lunario cantando per un mese intero, come un qualunque bravo artista di piano bar, al Castillo de Aragon di Ischia Ponte.

La fortuna tornò nel 1970, proprio nella sua Capri, dov’era emigrato il Festival di Napoli alla ricerca di rilancio: presentò Me chiamme ammore, incisa per un’etichetta da lui stesso fondata, la Splash, e trionfò. Vinse due Festival di Sanremo con Un grande amore e niente più (1973) e Non lo faccio più (1973), e a quella rassegna partecipò quattordici volte, primato assoluto; precede nella speciale classifica Claudio Villa e Milva.

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Offrì Champagne in centinaia di migliaia di copie, e dire che la canzone stentò a decollare. Fu il periodo della giacca e cravatta. Nel 1991 rappresentò l’Italia all’Eurofestival con Comm’è ddoce ‘o mare. Nel ’96 raccolse applausi in tutta Italia in coppia con l’amico Fred Bongusto; finito il tour, una puntata in Brasile. Aggirandosi fra tradizione e rock, novità e melodia all’italiana, ha venduto più di un paio di decine di milioni di dischi, entrando nelle classifiche di vendita italiane con 34 dischi consecutivi.

Si è risposato con una biologa, Giuliana Gagliardi, e ha avuto altri due figli, Edoardo e Dario. Ha stretto un patto d’arte con Mimmo Di Francia, coautore e cognato. Tra una canzone e l’altra si è messo a costruire barche e ha aperto uno studio d’incisione all’avanguardia.

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Questo inossidabile ragazzo occhialuto – quieto, discreto, senza nemici nel suo ambiente – ha, sì, conosciuto momenti di declino, ma si è sempre ripreso, attraversando indenne ogni moda, regalando un ricordo ad ascoltatori di varie generazioni. Ha sfornato nuove canzoni napoletane – E mo e mo, Nun chiagnere – e ha inciso i grandi classici in due album del 1989. Nel 2001 è tornato a Sanremo con Pioverà, canzone delicata e solidale con gli immigrati.

Ha detto no anche a un produttore francese che voleva usare Champagne per la pubblicità, perché non intendeva tradire i vini italiani, a partire da quello famoso di Capri. Con tanto successo alle spalle, con tante serate in corso, può permettersi qualche peccato d’orgoglio. Il rapporto di Peppino con la sua isola è speciale, da ambasciatore di tanta bellezza nel mondo.

Nel 1998 ha voluto celebrare a casa i quarantanni di carriera, con uno spettacolo intitolato “Champagne! Di Capri, di più”. E ha voluto prestare la sua faccia ironica allo spot per lanciare il biglietto “Unico Capri”. Così come sua è la sigla della fortunata fiction televisiva “Capri”.

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2 pensieri su “La favola di Giuseppe Faiella

  1. gennaro liberti

    Grazie Peppino
    ci siamo conosciuti nel lontano 1962
    al Pignatelli di l’acco ameno di Ischia
    mi chiedo perché non viene mai menzionato
    tale locale. Con tanti ricordi
    gennaro

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  2. massimo

    caro Peppino mi ricordo come fosse adesso quando nel lontano 1962 cantavi da Oliviero all84 via emilia Roma io lavoravo in via lombardia e ci passavo spesso davanti. una mattina mi ricordo che stavi caricando in macchina i bagagli e vicino a te c”era la tua ex moglie Roberta .avevo 16 anni e ogni volta che incontravo artisti, cantanti per me era una emozione , ricordo anche Bruno Martino, Fred Buongusto ,Roky Roberts e altri che cantavano da Oliviero. ascoltandoti è sempre una emozione.UN CARO SALUTO

    Replica

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