di Giovanni Pàsan
C’è di tutto e di più disegnato su ogni parte del corpo. Dal collo ai piedi, senza esclusione alcuna. I tattoo sono il desiderio, la fantasia, la testimonianza. Chi non ricorda la maliarda farfalla di Belèn esibita sul palco di Sanremo durante il festival?
Il soggetto più tatuato in assoluto è, comunque il drago. Punto di incontro tra cultura orientale e occidentale, il drago è la metafora della forza originaria e generatrice, il desiderio di affermazione di chi lo porta. Uno dei tipi più popolari di draghi che la gente desidera farsi tatuare è il drago cinese che simboleggia saggezza e buona volontà.
Sempre in tema di rettili, anche il serpente è molto utilizzato e rappresenterebbe un simbolo fallico. “Il kobra non è un serpente, ma un pensiero frequente che diventa indecente…” del resto lo dicono anche i sacri testi di Donatella Rettore.
Eroi guerrieri, vichinghi e motivi celtici costituiscono un’altra categoria molto precisa e sottintendono valori aggressivi.
Non a caso sono i simboli scelti dagli skinhead, rimandano a una ipotetica comune matrice etnica e culturale, alla quale i gruppi di estrema destra sostengono di ispirarsi. Opposta e complementare a questa posizione c’è la passione per gli Indiani d’America, popolo identificato con l’oppressione e la privazione della libertà. Secondo gli psicologi del tatuaggio, quindi, la testa di un pellerossa comparirà più facilmente sul braccio di una persona impegnata a favore delle minoranze e molto curiosa nei confronti di altre lingue, storie e religioni.
Non mancano poi i cultori dei motivi astratti, primi tra tutti i “tribal”: grandi macchie nere, con il tratto spesso e le curve flessuose che ricordano i “moko” maori. È il tipo prediletto dai punk e, in generale, da chi rifiuta la massificazione e sente il bisogno di differenziarsi lasciando segni indelebili e così evidenti sulla propria pelle.
Gli ideogrammi giapponesi rivelano un animo raffinato, gusto estetico e fedeltà in amore.