Michele Caccamo

Michele Caccamo

Cittadino del mondo perché pratica l’unica lingua universalmente conosciuta: la Poesia

prigione

Ferro vivo
Lamentazione prima dell’Amore

di Michele Caccamo

 … continuo a decidere per la mia vita prossima, come fossi, adesso, il primo e l’ultimo: so già che non voglio sentirmi addosso i lamenti, le molestie; né i rapaci togliermi la reputazione.

Michele Caccamo da un anno è in carcere. Condannato? No. si tratta di custodia cautelare. L’accusa: presunta truffa ai danni dello Stato per un finanziamento considerato illegittimo. Si professa a gran voce innocente…

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Michele Caccamo

Sto tentando di mettermi dritto come un altare, come una luce favolosa sull’innocenza. Potessi rimanere così metterei dei sigilli anche alla polvere: d’altronde il dominio che ogni Uomo vorrebbe mantenere è avere in mano la chiave dell’estasi e un telo per oscurare gli scopi infelici.

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Imploro per la mia pace. Nessun messaggio squallido mi potrebbe toccare se fossi il solo sulla terra; sarei ignoto al cielo e, tutti lo abbiamo spesso pensato, non avrei sospesa la vendetta di Dio, per colpa del peccato. Ma ci siamo tutti, per questo l’incanto dell’Amore ha sempre un breve tempo e la felicità è stata divisa in grida e canti; noi così, continuiamo a gettare via gli unici onori che potremmo offrire ai posteri: per le nostre doppie misure e la nostra insensatezza sentimentale.

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Vorrei non dover mai cercare nutrimento in qualche cuore umano e, al mio bisogno, intervenisse Dio stesso, non un ennesimo languido tranello. Chissà quanti nodi nascosti avrà l’infedeltà, il nostro voler essere l’uno lontano dall’altro, anche quando la morte, o qualcosa di simile, ci spezzerà le ossa. I miei occhi sono ormai senza meraviglie, senza alcun moto del bene: me li hanno schiacciati contro le schiene delle bestie, riempiendoli di liquido impuro. Anche nel mio soffitto c’è qualcosa di volgare: sembra, infatti un’afflizione del cielo.

Noi siamo i semi dello scandalo, sempre pronti per le ore della morte. La maledizione, e che nessuno voglia confutarlo, è la parte più decorativa della nostra vita.

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Io sono diventato disarmonico, sto reclinato con in contemplazione all’ordine del cemento. Sto guardando questo cortile pensando sia solo un intervallo breve del passaggio, ma non lo è affatto: è ferro vivo.

Se volessi, ora, coniugare il mio tempo con una bella idea non troverei, purtroppo, altra analogia che con il fallimento: è questa per me la stesura definitiva dell’umiliazione. No, non è intemperante la mia sensibilità, né presuppone alcun gesto di difesa; non sono il solo ad aver capito tutto: l’astensione del pensiero è l’unica morale, l’unica vera pazienza eccelsa per non perdersi in questo panorama di carni assegnate all’agonia.

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Non me ne vergogno, ma la mia quotidiana riflessione è così poco aristocratica che sento anche il fetore della fogna riunito nell’uomo. E mi danno e furibondo bestemmio. Sono sceso ad un livello anormale, così vicino alla demenza, che tento di dissimulare di avere un corpo: sono forse già vicino alla follia. Non so dirvi se quel giorno in cui nacqui fossi felice, un romantico troverebbe la speranza nell’urlo alla prima aria, io piuttosto credo di essere rimasto allucinato di fronte alla mestizia delle creature umane. Io sono arrivato all’Universo: è sempre stata questa la mia ossessione.

Sì, un Poeta dovrebbe essere atomico con la realtà, avere in ogni suo istante un miracolo; non dovrebbe mai riaprire gli occhi e avere, anzi pronta un’opinione scellerata, terribile, per indicare agli uomini la loro tragedia nel nascere. Ma adesso non importa più, perché il mio stesso essere è nella tragedia; la mia prosa è nascosta dall’oscurità di questa stanza. E se fosse nascosto dove adesso esisto il Dio eterno?

 

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