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Fuga dal mito

 di Giovanni Pasàn

Rischio Vesuvio. Mentre stiamo tutti a bocca aperta a guardare che ti combina lo Stromboli, una rivista scientifica, Le Scienze, ci riporta drasticamente con i piedi per terra. Siamo consapevoli del rischio che corriamo, siamo attrezzati, pronti, sufficientemente “addestrati”? Interrogativi che lasciano il brivido… Eppure Il piano evacuazione è la fine della leggenda Vesuvio.

L’ultima eruzione del Vesuvio è cominciata 71 anni fa, il 12 agosto 1943, con la fuoriuscita della lava da una bocca al piede del conetto del vulcano. L’eruzione vera e propria, però, l’ultima, iniziò in seguito, nel pomeriggio del 18 marzo 1944 e si protrasse fino al 29 marzo.  I paesi più danneggiati dai «depositi piroclastici da caduta» furono Terzigno, Pompei, Scafati, Angri, Nocera Inferiore, Nocera Superiore, Pagani, Poggiomarino e Cava de’ Tirreni. Gli abitanti di San Sebastiano al Vesuvio, Massa di Somma e Cercola furono costretti all’evacuazione. Napoli, invece, fu favorita dalla direzione dei venti che allontanarono dalla città la nuvola di cenere e lapilli.

icona-1944-3_672-458_resize Sembra un macabro scherzo del destino. Per fare l’Italia più unita ci voleva lo spettro del Vesuvio. Proprio quel vulcano che tifosi dementi invocano si risvegli. E’ tutto predisposto i 700mila abitanti dell’area a rischio ora sanno dove andare se scoppia l’emergenza. Quelli di Portici in Piemonte, fra Alessandria e Torino, quelli di Torre del Greco e Somma Vesuviana in Lombardia, da Milano a Bergamo a Brescia, e quelli di San Giuseppe Vesuviano e Pomigliano d’Arco in Veneto. I progetti di evacuazione “sostituiscono” la mano di San Gennaro. Lo sconfitto è il Vesuvio svanisce la favola del vulcano buono e del suo pennacchio…

 Hamilton Campi Phlegraei 72-458_resizeIl Vesuvio non è solo il vulcano più famoso del mondo, è il simbolo del mistero arcano. Spesso sogno e realtà si sono fusi e confusi nel segreto del mito di un cratere fascinoso, nel segno di quel vincolo profondo che lega le viscere della terra e quelle della psiche umana, la forza misterioso del mondo sotterraneo e lo sconosciuto imperscrutabile mondo dell’inconscio umano. Ed ecco allora che il fuoco del Vesuvio è stato raffigurato come l’eterno fuoco della passione, fremito inarrestabile, tormento o come manifestazione dell’ira divina, l’abitazione del demonio, il “fumaiolo dell’inferno”.

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Per Matilde Serao, ad esempio, nel “Libro d’immaginazione e di sogno”: Vesuvio era un giovane nobile di Napoli, follemente innamorato di una giovane di una “casa nemica”, la famiglia Capri. Un amore impossibile, avversato fortemente (insomma una sorta di Giulietta e Romeo del Sud) che la fanciulla sentendosi strappar l’anima si gettò in mare “donde uscì un’isola azzurra e verdeggiante”. Vesuvio “quando seppe della notizia crudele, cominciò a gittar caldi sospiri e lacrime di fuoco, segno della interna passione che l’agitava: e tanto si agitò che divenne un monte nelle cui viscere arde un fuoco eterno di amore. Così egli è dirimpetto alla sua bella Capri e non può raggiungerla e freme di amore e lampeggia e s’incorona di fumo e il fuoco trabocca in lava corruscante…”

Il Vesuvio ( nome che alcuno vogliono derivi dalla locuzione latina “Veh suis” cioè “Guai ai suoi” un bel presagio…) è descritto, invece, da molti come un diabolico genio del male come, ad esempio, in Tablettes napoletanes, volumetto pubblicato a Parigi nel 1840. Ancora oggi, del resto, il vulcano è chiamato monte dei diavoli e, com’è noto, sul monte c’è una valle denominata Valle dell’Inferno…

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Il Vesuvio è l’icona della forza, (oltre a quella spaventosa  del 79 dopo Cristo   che distrusse Ercolano e Pompei ha segnato altre undici eruzioni) la minaccia delle potenze infernali e il popolo napoletano da sempre si affidò al proprio santo protettore San Gennaro. La dualità San Gennaro–Vesuvio risale almeno al V secolo, periodo cui viene fatto risalire un affresco, ritrovato nelle cosiddette catacombe di San Gennaro, che raffigura il patrono di Napoli accanto al Vesuvio.

Vesuvius Erupts

San Gennaro domatore del Vesuvio. Nel 1656 racconta Savatore de Renzi che il 2 luglio del 1658 veniva posta sull’obelisco, eretto in onore di San Gennaro  una statua del Santo, tra l’entusiasmo generale del popolo. Ebbene, la sera del 3 luglio, accadde l’inimmaginabile: il Vesuvio cominciò a vomitare cenere e lapilli. Immediatamente, furono esposte le ampolle del sangue del Santo e proclamata l’indulgenza plenaria, così che furono tutti assolti dai peccati: farabutti, briganti e meretrici. “San Gennaro, contento di tanta pubblica prova di devozione del buon popolo”, ordinò alla lava di arrestarsi. Seguirono feste e processioni a cui partecipava una fiumana di gente: i penitenti si flagellavano, mostrando le ferite sanguinanti; i monaci cospargevano il capo di cenere del Vesuvio, recitando i salmi e, a volte succedeva anche questo, tle donne si legavano alle spalle enormi croci di legno. Così, si giungeva al Duomo per la benedizione dell’arcivescovo. E da allora è una sorta di filo diretto. Ancora oggi, del resto, “con la liquefazione del sangue di San Gennaro il popolo deduce che non vi saranno durante i mesi futuri né eruzioni né terremoti”. Come dire, una polizza sulla vita.

Vesuvius Erupts

Ma vista la “dimestichezza” fra San Gennaro e il Vesuvio al santo Patrono non è stato chiesto solo di tenere a bada il vulcano. Anzi gli venne chiesto di “svegliarsi” un po’. Eravamo all’inizio degli anni cinquanta, il famoso pennacchio del Vesuvio era scomparso definitivamente  e con questo cominciarono a a scomparire anche i turisti dalle parti del vulcano mandando in crisi l’indotto turistico del vesuviano.  Venne allora sollecitato padre Alfano, un prete della zona. “Aiutateci voi. Dite una preghiera a San Gennaro. Scongiuratelo di far comparire almeno un po’ di fumo, sulla cima del Vesuvio. Qua non si vede più un turista, non si vendono un gadget, non si fa più una mancia…”

Joseph Crabtree

Joseph Crabtree

Evidentemente non sapevano che il pennacchio non era un segno divino e non conoscevano la singolare storia del gentiluomo inglese Joseph Crabtree che giunto a Napoli per amore e che, abbandonato dalla giovane donna di cui si era invaghito, fu attratto dal vulcano e ideò un ardito progetto per controllarne la fuoriuscita del gas. Un mese di lavori e l’ingegnoso sistema per calarsi all’interno della montagna di fuoco aprendo 24 grandi fori e l’inserimento nella crosta di altrettanti grossi tubi di considerevole lunghezza; questi sarebbero confluiti nella grossa struttura cilindrica flessibile e, attraverso essa, i gas avrebbero raggiunto l’esterno. Nacque così l’iconogrofia e durò oltre un secolo, l’iconografia del Vesuvio col pennacchio …

Ma non c’è tempo per rimpiangere il vulcano che “sorride” che subito qualcuno ti sbatte in faccia l’altra realtà, la solita dicotomia che divide il bene e il male. Ecco, allora, lo studio pubblicato nei mesi scorsi dal vulcanologo della New York University Flavio Dobran. Una sorta di libro dell’Apocalisse che prevede lacrime e sangue, una seconda Pompei. La catastrofe in meno di un quarto d’ora. “Valanghe di fuoco rotoleranno sui fianchi del vulcano alla velocità di 100 metri al secondo e una temperatura di 1000 gradi centigradi, distruggendo l’intero paesaggio in un raggio di 7 chilometri spazzando via case, bruciando alberi, asfissiando animale, uccidendo forse un milione di esseri umani.”  Altro che piano di evacuazione, ci vorrebbe subito un twitter a San Gennaro…

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