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La guerra del Papa

di Gianpaolo Santoro

Poco più di cento giorni fa il Papa è andato in Corea del Sud. Per la prima volta un aereo con a bordo il Vescovo di Roma aveva avuto il permesso di sorvolare la Cina (la Santa Sede non ha relazioni diplomatiche con la Cina dai tempi di Mao Tse-tung). Erano quindici anni che il Pontefice mancava dall’Asia. Segnali di distensione in tempo di Jihad? Macché. Mentre Papa Bergoglio atterrava all’aeroporto militare di Seul come benvenuto la Corea del Nord lanciava tre missili a corto raggio dalla costa orientale nel Mar del Giappone.

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Al ritorno della missione asiatica papa Francesco voleva fare tappa in Kurdistan, un’area incorniciata tra Siria, Turchia, Iraq e Iran. Aveva intenzione di lanciare anche da lì il suo appello a favore dei cristiani del Medio Oriente massacrati dai fondamentalisti islamici. Ma i servizi segreti glielo impedirono. Troppo pericoloso. Codice rosso.

Si cerca di tenere un profilo basso ma, inutile negarlo, ai fantasmi sempre vivi dei Lupi grigi (bozkurtlar, il movimento estremista nazionalista turco) che pilotarono l’attentato del turco Ali Agca contro Giovanni Paolo II nel maggio del 1981 proprio tra la folla in piazza San Pietro, si aggiunge ora lo spettro di un’azione eversiva del fondamentalismo islamico, le belve sanguinarie dell’Isis (acronimo di Islamic State of Iraq and Syria), i maledetti tagliagole del Califfato.

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Del resto la rivista on line “Dabiq” (nome altamente simbolico, Dabiq è il villaggio dove nel 1516 gli Ottomani sconfissero i Mammalucchi, consolidando l’ultimo califfato della storia) ha rilanciato l’immagine di piazza San Pietro con l’obelisco e la bandiera nera con il titolo “La Crociata fallita”. Non è un mistero, l’Isis promette di non fermare la Jihad, la Guerra santa dell’Islam, “finché non ci troveremo sotto gli alberi di ulivo di Roma ed avremo distrutto quell’edificio osceno che si chiama Casa Bianca”.

Ma la vita del Pontefice è realmente in pericolo? Secondo l’ambasciatore iracheno alla Santa Sede Habeeb M.H.Al Sadr il rischio è altissimo. Ed è fra noi. “Ci sono membri dell’Isis che non sono arabi ma canadesi, americani, francesi, britannici e anche italiani.” Per il vicepresidente del Co.pa.sir (Comitato di controllo dei servizi segreti) il salernitano Giuseppe Esposito  “il Califfo Al Baghdadi ha dichiarato guerra al Vaticano, e qualche pazzo della Jihad, già presente nel nostro paese, potrebbe tentare di colpire il Papa. E proprio per questo abbiamo rafforzato la sicurezza del Santo Padre”.

Papa Francesco e Juàn Carlos Molina

Papa Francesco e Juàn Carlos Molina

Juàn Carlos Molina,  un prete argentino di un’organizzazione che combatte il traffico di droga, la Sedronar, un vecchio amico del Papa, è venuto a Roma ed ha chiesto un incontro privato per venirgli a dire. “Attento, ti vogliono ammazzare.” Sconvolgente la risposta di Bergoglio. “È la cosa migliore che mi potrebbe capitare”.

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Il Papa velato

Il pontefice ha abbattuto fin quanto possibile le barriere che lo separano dalle folle, vuole essere a contatto fisico coi fedeli. E, proprio per questo, viene giudicato un bersaglio “facile”. Il pericolo non è quello di grandi attentati ma di un’atomizzazione dell’eversione. I servizi segreti sono sguinzagliati su più piste. A cominciare dall’Entità quello del Vaticano, il più antico e, forse, anche il più misterioso, servizio segreto del mondo. “ Quello della Santa Sede è fra i servizi migliori del mondo” secondo Simon Wiesenthal, il famoso cacciatore di criminali nazisti. E della stessa fama di elevata efficienza gode anche la rete di controspionaggio che prende il nome di “Sodalitium Pianum”.

L’Entità (che annovera fra le sue fila religiosi, laici e donne non necessariamente cittadini vaticani e al cui comando pare che Papa Francesco abbia posto l’argentino José Luis Uboldi, ma non esistono conferme) è stata protagonista di grandi avvenimenti sul palcoscenico mondiale. A cominciare dall’attentato sventato a Golda Meir a Fiumicino all’operazione “Muro di Berlino”, al caso “Trentanove”, i religiosi polacchi che collaborarono con l’SB (i Servizi polacchi) durante il comunismo.

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Le guardie svizzere

Nello stato Vaticano a difendere l’incolumità del Papa ci sono le Guardie Svizzere, l’esercito pontificio. Per giurare fedeltà al pontefice, le reclute devono essere, obbligatoriamente, cittadini svizzeri tra i 18 e i 30 anni, di comprovata fede cattolica e con il servizio militare già svolto. Alti non meno di un metro e 74 centimetri, nonché rigorosamente celibi. L’identikit, secondo le solite malelingue, ideale anche per fungere da potenziali amanti di potenti porporati (mille sussurri negli anni si sono rincorse sui sexy scandali con le guardie svizzere della Santa Sede: gossip di inconfessabili amori gay che si sono tinti di giallo, con il caso del misterioso omicidio-suicidio, nel 1998, del comandante del Corpo Alois Estermann e della moglie Gladis Romero).

Daniel Rudolf Anrig

Daniel Rudolf Anrig

Centoventi uomini (con divise variopinte di stile rinascimentale, con gli elmi lucidi, i pennacchi di struzzo e le suggestive alabarde d’ordinanza) con il compito di vigilare una superficie di appena 0,44  chilometri quadrati nel cuore di Roma, sulla riva destra del Tevere. Ma sarebbe un errore pensare che siano semplice oleografia. I soldati del Papa hanno in dotazione pistole, fucili, pistole-spray ed altre attrezzature militari, anche di ultima generazione, come è d’uso negli eserciti di altri stati. Le armi non vengono ostentate, ma ci sono. Soldati pronti ad ogni evenienza, insomma.

In Vaticano poi esiste una rete di sicurezza, assicurata dalla Gendarmeria in collaborazione con la polizia italiana. Due i reparti speciali: il Gruppo di Intervento Rapido ed il reparto Antisabotaggio. Al comando di questo esercito tascabile sino a poco tempo c’era il colonnello Daniel Rudof Anrig. Ma Papa Francesco, a sorpresa, dopo averlo riconfermato solo qualche mese, lo ha rimosso all’improvviso dall’incarico. Soltanto quattro righe sulla prima pagina dell’Osservatore Romano all’interno della rubrica “Nostre Informazioni”. Un metodo a dir poco irrituale rispetto al passato. Non una spiegazione, non una giustificazione. Pare che il Pontefice vorrebbe un esercito meno esercito. E riecheggia quella risposta data all’amico Juàn Carlos che gli esternava la sua paura, il suo timore. “Ti vogliono ammazzare”. “ È la cosa migliore che mi potrebbe capitare…”

 

 

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Un pensiero su “La guerra del Papa

  1. gerardo mazziotti

    Penso che le minacce all’Occidente e al Papa in particolare siano da prendere nella massima considerazione ( l’acronimo ISIS composta da parole in inglese ne sono una prova ); di queste minacce e della insipienza ( a volte anche connivenza ) del mondo occidentale ha scritto Oriana Fallaci nel 2011 nel suo “ La Rabbia e l’Orgoglio”; sono contro la violenza ma di fronte ai crimini che commettono i seguaci del Califfo ( le decapitazioni col coltello a sega sono agghiaccianti ) penso che dovremmo reagire in modo più deciso: siamo più forti di loro ( anche se dietro ci sono l’ Iran e l’Arabia saudita interessati al deprezzamento del petrolio iraqeno ) e dimostriamolo.

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