Mimmo Carratelli

Mimmo Carratelli

Giornalista e scrittore. È stato inviato speciale e caporedattore al “Roma” di Napoli, a “La Gazzetta dello Sport”, al “Corriere dello Sport-Stadio”, a “Il Mattino”, oltre che vicedirettore del “Guerin Sportivo”.

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A Napoli non farete mai niente di buono

di Mimmo Carratelli

Siamo alle solite, siamo già spaccati su Sarri, come è legittimo in … democrazia, chi a favore (54 per cento) e chi contro (46) secondo un sondaggio del “Corriere dello sport” non molto lontano dalla realtà.

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Benitez o Sarri?

La presa di posizione più ridicola, ma che corrisponde alla pancia del tifo, è che quella parte dei media, degli esperti, degli stessi tifosi, che aveva esecrato il modello-Benitez, perché fuori dalla realtà del calcio italiano, ora, con l’arrivo di Sarri critica l’interruzione del progetto spagnolo ampiamente biasimato e spara grosso contro la “retrocessione” del Napoli, dalla squadra europea di Rafa, osteggiata e derisa, a squadra autarchica (forse, la nostra vera condizione) con un allenatore senza pedigrée e giocatori chissà chi saranno.

Monzeglio

Eraldo Monzeglio

Eraldo Monzeglio, allenatore-gentiluomo che guidò il Napoli per sette anni, dal 1949 al 1955, fra varie difficoltà, compresa una bomba-carta lanciata ed esplosa sotto la sua panchina quando tornò da direttore tecnico al fianco di Pesaola, campionato 1962-63, a noi che cominciavamo a fare il mestiere di giornalisti, giovani più o meno rampanti e da lui definiti “dottorini”, disse un giorno: “Dottorino, a Napoli non farete mai niente di buono”.

Egidio Musolino, il presidente della rinascita azzurra dopo la guerra e la seconda retrocessione del Napoli in B, aveva scovato Monzeglio, campione del mondo nella nazionale di Vittorio Pozzo, nella Pro Sesto. Monzeglio arrivò che aveva 43 anni. Quando andò via sembrò invecchiato più degli anni che aveva.

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Achille Lauro in panchina

 

Le contestazioni erano continue sia per la “guerra politica” contro Lauro, sia perché il Napoli, negli anni di Monzeglio, non arrivò più su del quarto posto (1952-53), diviso nello spogliatoio fino alla dura opposizione di Amadei nei confronti di Monzeglio (di cui voleva prendere il posto di allenatore) e al dissidio che oppose lo stesso Amadei a Vinicio e Pesaola. In quegli anni, Jeppson e Vinicio furono i sogni di grandezza. Il Napoli retrocesse per la terza volta in serie B (1960-61). Dal Vomero al San Paolo, lo stadio era una eterna polveriera di incidenti.

“Dottorino, a Napoli non farete mai niente di buono”. Profezia facile non solo per gli anni a seguire, esclusa la parentesi felice di Maradona (con due faticosi scudetti in sette anni), confermata anche in questo nuovo secolo dell’apparizione di De Laurentiis.

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Ferlaino e Bianchi

Poiché non vinciamo scudetti a ripetizione (ci fu anche una guerra mediatica contro Ottavio Bianchi per non parlare degli striscioni e delle bombe-carte dedicati a Ferlaino) siamo eternamente insoddisfatti. Ricordare che come città e società di calcio non abbiamo le “basi” per trionfi superiori, e non le abbiamo mai avute, lascia il tempo che trova. Noi vogliamo vincere per passione irrefrenabile, per predestinazione divina, perché siamo la città più bella del mondo e altre balle sparse.

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Aurelio De Laurentiis

Certamente, il Napoli non gioca per partecipare ma per vincere. Non riuscendoci per limiti oggettivi ci agitiamo, protestiamo, contestiamo e così “cari dottorini a Napoli non faremo mai niente di buono”. Vogliamo spezzare i nostri limiti, ma non ne abbiamo né la forza né il carattere, condannati forse dalla latitudine meridionale. In mancanza di niente, tiriamo al bersaglio contro presidenti, allenatori e giocatori. Il gioco è spesso al massacro. Il risultato è che torniamo sempre all’anno zero.

 

 

 

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Un pensiero su “A Napoli non farete mai niente di buono

  1. Antonio

    Ottima analisi che conferma ancora una volta i motivi per cui a Napoli è molto difficile, difficilis-simo portare avanti e realizzare un progetto di squadra tale da farci raggiungere risultati apprezzabili nel pieno rispetto di una buona programmazione da sviluppare nel breve, nel medio e nel lungo periodo compatibilmente con le risorse disponibili.
    Tutti vogliono tutto e subito. La cosa più antipatica è che i trombettieri delle polemiche sterili e inutili sono sempre in attività: Si criticano i dirigenti di turno, gli allenatori di turno, i Presidenti di turno con l’unico obbiettivo di scassare e di creare tensioni e zizzanie. L’impazienza, poi, è il sistema per non realizzare mai niente. La pazienza, il rispetto di ruoli e gerarchie, il duro lavoro svolto dai competenti con serietà e sacrificio sono i sistemi per crescere e competere. Le eventuali legittime divergenze sui problemi concreti sono la linfa della crescita di ogni società se finalizzate al mi-glioramento e non alla distruzione. L’impazienza impedisce ai gruppi organizzati di raggiungere nei tempi programmati gli obbiettivi prefissati e per realizzare meglio ogni progetto.
    Nessuno prende mai ad esempio la pazienza del principe di Condé che dormì profondamente la not-te avanti la giornata di Rocroi che vinse ampiamente, , distruggendo così il progetto imperiale degli Asburgo.
    Saluti
    Antonio

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