di Gianpaolo Santoro
La gioiosa macchina da guerra rottamatrice si è dissolta in una notte di tarda primavera. Le elezioni di metà mandato hanno dato il loro responso. Ha vinto Matteo. Ma Salvini però, non Renzi.
È stata la notte in cui tutti si sono giocati qualcosa e non solo il Premier ed Orfini che ci hanno inondato di foto delle loro epiche battaglie alla playstation: Renzi ha visto crollare il mito dell’invincibilità, Berlusconi il mito delle sue miracolose campagne elettorali e della leadership del centro destra, Bersani il mito della ditta e del partito di sinistra con le bandiere rosse, Grillo il mito del suo indispensabile carisma (i Cinquestelle hanno fatto quasi tutto da soli con candidati sconosciuti), Alfano il mito di aver fondato un partito, pieno di ministri e vuoto di voti che aveva l’ambizione di essere il centro della rifondazione di un’area moderata.
Ma l’analisi che va fatta al di la delle vicende territoriali (5 regioni al centro sinistra, due al centrodestra) è sul renzismo, un fenomeno che solo sino a qualche giorno fa sembrava inarrestabile e trascinante, che aveva ingoiato e convertito in un battibaleno quasi tutto il partito democratico e che aveva l’ambizione di avvolgere l’intero Paese con una narrazione cinguettante, fatta tutta di twitter e retorica #rottamazione, #lavoltabuona, #cambiaverso, #adesso, celebrata alla kermesse della Leopolda. E le elezioni degli ottanta euro, le Europee : ricordate le tre capoliste Simona Bonafé, Alessandra Moretti e Giuseppina Picierno? Tre renziane più o meno della prima ora, la retorica dei volti nuovi, della politica che finalmente cambia, una nuova generazione, il maggiore spazio alle donne…?
E’ passato un solo anno, una legge elettorale a colpi di fiducia, l’elezione-“colpo di mano” del Presidente della Repubblica, la riforma del lavoro e quella della scuola, l’interpretazione della sentenza sulle pensioni della Corte Costituzionale, per cambiare e far capire molte cose. Ma il Pd ha vinto in cinque regioni si dirà, e allora? E allora vediamo che fine ha fatto la rivoluzione renzista.
In Toscana ha vinto Enrico Rossi bersaniano-cuperliano, “non sono renziano, sono rossiano”; in Puglia Michele Emiliano, renziano di facciata (fu escluso come capolista alle Europee in una notte senza neanche essere consultato) che, come prima cosa, ha annunciato che, nonostante abbia i numeri per governare da solo, offrirà un assessorato ai grillini stravolgendo insomma la politica nazionale del Pd; in Umbria Catiuscia Marini contro la quale alle primarie era stato schierato il renziano Gianpiero Bocci, sottosegretario agli Interni; nelle Marche Luca Ceriscioli contro il quale nelle primarie era stato candidato il renziano Pietro Marcolini. E poi in Campania il successo di Vincenzo De Luca, renziano sopportato, quattro mandati da sindaco, 67 anni, impresentabile secondo l’Antimafia e sul quale incombe la scure della Severino. Insomma esattamente il contrario del prototipo del giovane buon renziano.
In poche parole su sette candidati due erano veramente renziani, Raffaella Paita in Liguria ed Alessandra Moretti in Veneto. E del resto non bisogna fare della dietrologia per provarlo. In Puglia Renzi non è mai andato, in Campania è venuto una sola volta per un paio d’ore, toccata e fuga senza sprecarsi tanto e regalano parole di stima anche per Caldoro. Ben diverso invece è stato l’impegno profuso per la Paita e per la Moretti.
Comizi, incontri, manifestazioni, baci e abbracci ed interventi d’ogni genere e tipo (cosa pensare dell’appalto concesso – 175 milioni di euro – a sette giorni dal voto ad un imprenditore, per caso nuovo editore de L’Unità, per un ospedale a La Spezia, guarda caso città natia della Paita? Per la ladylike Moretti, poi, anche un spot elettorale in auto con il Premier che guidava con l’aspirante governatrice al suo fianco, un messaggio semplice ed efficace “votate lei che poi guido io…”
Risultato? Dopo dieci anni la Liguria è passata al centro destra con Giovanni Toti, mentre nel Veneto Zaia e la Lega (nonostante la scissione di Tosi che comunque ha preso intorno al 10 per cento) hanno asfaltato, ridicolizzato il Pd, doppiandolo clamorosamente. Un brutto colpo.
Soprattutto tenendo conto dell’esplosione della nuova Lega che ha sfondato i confini della vecchia Padania, diventando il secondo partito in Toscana (un balzo dallo zero virgola al 20 per cento) e registrando quasi ovunque percentuali a doppia cifra, doppiando spesso Forza italia e diventando di fatto l’asso portante del nuovo centro destra.Renzi per riordinare le idee se n’è andato in Afghanistan a Camp Arena, quartier generale italiano. Una cosa è certo, sta facendo pressioni su Maria De Filippi per essere ospitato alla puntata finale di Amici. Di questi tempi gli amici non sono mai abbastanza