Mimmo Carratelli

Mimmo Carratelli

Giornalista e scrittore. È stato inviato speciale e caporedattore al “Roma” di Napoli, a “La Gazzetta dello Sport”, al “Corriere dello Sport-Stadio”, a “Il Mattino”, oltre che vicedirettore del “Guerin Sportivo”.

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Tu chiamale se vuoi celebrazioni…

 di Mimmo Carratelli

Cinquant’anni fa nasceva una magia. Cristine Leroux, un’editrice musicale di origine francese trapiantatasi a Milano, contitolare delle edizioni El & Chris, cacciatrice di talenti per la casa Ricordi, è incuriosita da un ragazzo riccioli e chitarra che sino ad allora aveva fatto un po’ d’esperienza solo in alcuni complessi,  primo fra tutti i Mattatori, un gruppo napoletano fondato dai fratelli Giulio (voce e basso)  e Mario Zampa (batteria) e nel quale si sono alternati fra gli altri Gianni Vogel al sax e alla chitarra, Carlo Missaglia alla chitarra e Claudio Fresca al pianoforte.

Cristine  organizza un incontro con l’autore Giulio Rapetti, in arte Mogol. Quel ragazzo dalla voce di “chiodi che gli stridono in gola”, la capigliatura selvaggia e anticonformista,  si chiamava Lucio Battisti. Quel giorno nacque una magia, un sortilegio per una intera generazione. Quella del Sessantotto che tentò di cambiare il mondo. Le canzoni di Battisti rivoluzionarono il panorama musicale italiano e ancora oggi resistono all’usura del tempo. Tu chiamale se vuoi emozioni…

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Lucio Battisti

E’ probabile che fossimo disperatamente molto felici in quei mitici anni Sessanta in Lambretta, fra televisori col secondo canale e lavatrici, intanto stava cambiando il cielo, l’altra metà del cielo soprattutto, e cambiava il mondo, il vecchio mondo dal quale partirono Neil Armstrong e Buzz Aldrin per andare a passeggiare sulla Luna, la luna e Mina che urlava tintarella di luna. Ed eravamo ancora felicemente ammorbati da cuore che faceva rima con amore, una vita rose e fiori, grazie dei fiori e portami tante rose. Quei mitici anni Sessanta di John Kennedy, Martin Luther King, Marilyn Monroe, che se ne andarono tutti, anche il Che, ucciso da qualche parte in Bolivia. Mary Quant scoprì le gambe delle ragazze e avevamo pruriti di ogni tipo, compreso il prurito di cambiare il mondo, e noi ragazzi dei mitici anni Sessanta potevamo cambiarlo con la musica, ma c’era ancora Achille Togliani, e urlava Claudio Villa. E poi fu come quando arrivarono gli americani a liberarci nel 1945, e arrivarono nel 1963 i Beatles a Milano, a Genova, a Roma, e poi i Rolling Stones.

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E poi un giorno arrivarono i Beatles a Milano…

E un bel giorno, anche da noi, finì la melodia, e cuore non fece più rima con amore, e spuntò quel ricciolone di Poggio Bustone, provincia di Rieti, sensibile e introverso, un prodigio musicale con quella voce di “chiodi che gli stridono in gola”, una voce diversa, “afona e sabbiosa”, capace di trasmettere emozioni, tu chiamale se vuoi emozioni, la capigliatura selvaggia e anticonformista, insomma Lucio Battisti, il nostro fenomeno musicale senza precedenti, ritmi e scansioni nuovi, non più la melassa di Sanremo, e piccole storie scritte da Mogol, le storie quotidiane di noi ragazzi teneri ma ferocemente disperati, prostrati da Bobby Solo con la lacrima sul viso e da Little Tony col cuore matto. E finalmente acqua azzurra, acqua chiara, e quel campo di grano poesia di un amore profano, e nuove notti e nuovi giorni, e ogni notte ritornar per cercarla in qualche bar.

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E un giorno Battisti incontrò Mogol…

La sua voce fece la differenza, la voce di Poggio Bustone, il suo treno che partiva alle sette e quaranta, era aprile, era maggio, era chi lo sa, fiori rosa, fiori di pesco e, alla fine, la storia di sempre, mi ritorno in mente bella come sei, forse ancor di più. Tramontavano i beat, nascevano gli hippy. A Woodstock, vicino New York, la folla immensa dei ragazzi, i nuovi anarchici della vita, e poi l’isola di Wight, ed era già il Sessantotto con gli scontri romani di Valle Giulia, e fa niente che i Dik Dik cantarono alla vecchia maniera sai cos’è l’isola di Wight, è per noi l’isola di chi ha negli occhi il blu della gioventù. Non fummo più gli stessi, non eravamo più gli stessi, ma il mondo non riuscimmo a cambiarlo. Lucio lo sapeva già : aver nelle scarpe la voglia di andare, avere negli occhi la voglia di guardare e invece restare prigionieri di un mondo che ci lascia soltanto sognare.

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Lucio Battisti

Oggi avrebbe settantadue anni il ragazzo di Poggio Bustone. Se ne andò troppo presto, a 55 anni, e noi ragazzi invecchiati dei mitici anni Sessanta siamo ancora qui a seguir con gli occhi un airone sopra il fiume, sdraiati sopra l’erba ad ascoltare un sottile dispiacere, però senza più la forza e la voglia di guidare come pazzi a fari spenti nella notte per vedere se poi è tanto difficile morire.
Siamo qui a ricordare quel ricciolo che nacque con una chitarra sul cuore. Balla Linda, balla come sai per il ragazzo che non c’è più. Restano nell’aria le piccole storie che lui cantava, le nostre vicende d’amore senza più piagnucolare, ironicamente infelici, felicemente ironici, perché poi dieci ragazze posson bastare, capelli biondi d’accarezzare e labbra rosse sulle quali morire, e accidenti se poi nessun coltello mai ti può ferir di più di un grande amore che ti stringe il cuor.

 

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