Valerio Caprara

Valerio Caprara

Professore di Storia e critica del cinema all’Università degli studi di Napoli “L’Orientale” e dal 1979 critico cinematografico del quotidiano “Il Mattino”. Presidente della Campania Film Commission.

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Ciao, ”Malafemmena”…

di Valerio Caprara

Simpatica, fotogenica, disinvolta sino all’aggressività e assai ammirata in Francia col soprannome di ‘Ninì Pampan’ se n’è andata Silvana Pampanini, la donna che, secondo alcune versioni, ispirò a Totò la struggente “Malafemmena”

Se la prima rivelazione femminile del cinema del dopoguerra fu la Magnani e la seconda quella della Mangano, i concorsi di bellezza contribuirono ad affermare il potere delle cosiddette maggiorate fisiche (copyright del ‘paglietta’ napoletano interpretato da De Sica in “Altri tempi”). Uno star-system in miniatura che costituisce le premesse e pone le basi del neorealismo rosa che secondo i puri & duri avrebbe ucciso il glorioso movimento, ma in realtà si limitò a corroborare la forza d’attrazione della nostra produzione incalzata dalla valanga hollywoodiana.

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Silvana Pampanini, nata a Roma il 25 settembre 1925 in una famiglia d’artigiani, dopo avere studiato alle magistrali e al conservatorio di Santa Cecilia partecipa ventunenne al primo concorso di Miss Italia organizzato nel ‘46 a Stresa dove in prima battuta non le viene assegnato il titolo ma poi, riammessa in gara a furor di popolo, è dichiarata vincitrice ex aequo con la presunta usurpatrice Rossana Martini. Già dal ’47, in contemporanea con la Lollo e in anticipo su Sophia, può mettere in mostra spesso doppiata nella voce, ma non nel canto le sue forme di bruna supersexy, rese meno provocanti da un temperamento e un atteggiamento cordiali e autoironici, in una serie di film di puro intrattenimento caratterizzati da una certa fragranza di recitazioni e situazioni: “Il segreto di Don Giovanni”, “Il barone Carlo Mazza”, “I pompieri di Viggiù”, “Marechiaro”, per non parlare di “47 morto che parla” (’50) da cui scocca la scintilla del gossip che ancora oggi tramanda la controversa nascita della canzone “Malafemmena”.

Silvana Pampanini con Totò

Silvana Pampanini con Totò

Secondo la figlia Liliana, infatti, Totò durante e dopo le riprese del film corteggiava spudoratamente la giovane partner fino a quando l’esasperata moglie Diana non troncò il matrimonio e decise di risposarsi; il principe De Curtis avrebbe allora iniziato a nutrire un aspro sentimento di rancore nei suoi confronti, colpevole d’averlo abbandonato ingigantendo quella che riteneva una banale scappatella: di qui la composizione dell’esacerbato brano romantico di cui la Pampanini continuò in seguito ad attribuirsi in buona fede il “merito” d’averlo ispirato.

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Simpatica, fotogenica, disinvolta sino all’aggressività e assai ammirata in Francia col soprannome di ‘Ninì Pampan’, si adegua alle pretese spesso modeste di registi come Mastrocinque, Brignone o Bragaglia, ma non appena l’ambizioso Zampa le affida un ruolo più robusto in “Processo alla città” dimostra di possedere qualità più convincenti di quelle esaltate dalle platee popolari e rampognate dalla critica impegnata. Non è un caso, tra l’altro, che proprio un regista come Peppe De Santis, uno degli alfieri del neorealismo che non ha mai voluto, però, trasformare in dogma a danno di un verace rapporto col pubblico, la sceglie come perfetta mattatrice del melodramma d’ambientazione ed esasperazione partenopee “Un marito per Anna Zaccheo” (’53).

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Un altro titolo da sottolineare non solo nel segno della bulimia cinéfila è “La bella di Roma” (’55), in cui Comencini, supportato da un copione dello stesso, geniale Margadonna soggettista di “Pane, amore e fantasia”, l’affianca a volponi della scena come Sordi, Stoppa e Tofano per tracciare un velenoso e spassoso compendio dei più tradizionali e maschilisti vizi italici. Ancora per il rosso (di capelli e fede politica) De Santis interpreta anche un ruolo implausibile nel pretenzioso e prolisso “La strada lunga un anno” girato in Jugoslavia (’58).

Difficile rimproverarle oggi di avere condiviso la sorte commercialmente minima o massima dei prodotti di seconda scelta, una marea che va da “Bellezze in bicicletta” (in cui canta l’hit dell’epoca ripreso dal titolo) a “La tratta delle bianche”, da “Racconti romani” a “Il gaucho” (’64) in cui il perfido Risi le assegna la parte semiautobiografica di ex diva alla ricerca del successo perduto e di un marito danaroso: nel panorama di un cinema, infatti, teso anche con la quantità a edificare la piramide al cui vertice andranno a collocarsi i film di Antonioni, di Fellini o di Visconti, il suo innegabile talento nel registro comico-brillante e la capacità di reggere il confronto con tutti i big dello schermo tricolore tra il dopoguerra e la prima metà dei Sessanta (un elenco impressionante che va, appunto, da Totò e Sordi a De Filippo, De Sica, Gassman, Mastroianni) fa sì che non scada quasi mai nel trash l’arma totale dell’avvenenza conturbante.

CINEMA:LA MASCHERA DI SORDI RIDE A 10 ANNI DA SCOMPARSA

Esibitasi con successo anche nel ruolo di regista del cortometraggio sulla vita e le opere di Giuseppe Verdi, “Melodie a Sant’Agata” (’58), diventa nel trascorrere degli anni un personaggio affabilmente pittoresco dello spettacolo italiano, intervenendo in numerose trasmissioni radiofoniche e televisive e acconsentendo di buon grado a fare la madrina di manifestazioni sportive o mondane.

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Apprezzata nella commedia flaubertiana “Il candidato” (’70) messa in scena per il piccolo schermo da Scaparro, ha tirato le fila della sua vita certo non grigia e castigata, nonché ghiotta per i media popolari a causa dei presunti flirt con ogni genere di vip (Holden, Sharif, Welles, re Faruq d’Egitto ecc.), nelle divertenti spavalderie dell’autobiografia “Scandalosamente perbene” ed è riapparsa a sorpresa come attempata, ma adeguata caratterista nella miniserie Mediaset “Tre stelle” di Pingitore e nel cast di “Gratis” (RaiUno).

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Se qualcuno, peraltro, degli spettatori più recenti si fosse fatta un’idea di Ninì Pampan dedotta solo dall’auto-cammeo nel deprimente “Il tassinaro” (’83) di un Sordi al lumicino, dovrebbe fare il mea culpa rileggendo in che termini la descrisse al tempo della gloria un poeta incoronato come Vincenzo Cardarelli: “L’unica, fra le nuove attrici, che mi abbia interessato è Silvana. La sua bellezza è di quel tipo rigoglioso, opulento e florido, tipicamente italiano, che negli spettatori esclude ogni genere di questioni mentali e vieta qualunque forma di attività dello spirito critico o raziocinante: ma è una bellezza che appaga per intero la vista proclamandosi, se così possiamo esprimerci, di tutto riposo”.

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