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Quando i migranti
avevano una regina

di Pietro Gargano

La presenza dei migranti e dei rifugiati interpella seriamente le diverse società che li accolgono. Esse devono far fronte a fatti nuovi che possono rivelarsi improvvidi se non sono adeguatamente motivati, gestiti e regolati. Come fare in modo che l’integrazione diventi vicendevole arricchimento, apra positivi percorsi alle comunità e prevenga il rischio della discriminazione, del razzismo, del nazionalismo estremo o della xenofobia? Papa Francesco nella giornata mondiale della migrazione e del rifugiato ha rilanciato l’interrogativo che sta sgretolando la fragile Europa. Ed allora vogliamo raccontare di una sciantosa, di una “stella” nata nel rione popolare della Duchesca che divenne andando a cantare in America la regina degli emigranti. Centoventi anni fa nasceva Griselda Andreatini, cioè Gilda Mignonette.

12179679_10206843150430593_1336914012_nQuesta è la storia di un amore e di un’immensa nostalgia. Ne fu protagonista una donna di nome Griselda Andreatini, nata a Napoli, nel popolare rione della Duchesca; nata il primo aprile, ma i suoi genitori non avevano mai potuto consentirsi uno scherzo. Sua madre Matilde era una marchesa di un ramo secondario del casato dei Ruffo. Suo padre Francesco insegnava latino a scuola, matematica e musica in privato. Antico blasone e laurea non procuravano agiatezza, in quei tempi ingiusti. L’unica ricchezza della casa era un pianoforte: Griselda piccina si arrampicava fino ai tasti bianchi e neri, strimpellava e cantava. “Sarai una grande cantante”, le dissero e la fecero studiare musica seria.

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Roberto Ciaramella

Allora l’aria era piena di “Marechiare” e “Maria Marì”; Griselda decise che avrebbe cantato, sì, ma non l’opera lirica. Si fece chiamare Gilda Mignonette, diminutivo di Mignon, rima con Mignonette. In palcoscenico incontrò un artista vissuto, Roberto Ciaramella, che le suggerì di cambiare genere, di virare sul drammatico. Incerta tra melodia e prosa (per tre anni lavorò nella compagnia di Raffaele Viviani), l’ex Griselda conobbe il destino nel 1924: le offrirono un contratto di breve durata per l’America. Il contratto era firmato dal cavalier Acierno Feliciano, impresario di fama, potente. Mignonette fu fatta esordire al Werba’s Brooklyn Theater, stipato di paesani dagli occhi umidi. Dissero che la sua voce appassionata, sottile e calda, rassomigliava a quella delle bluesingers di New Orleans.

Raffaele Viviani 'O vico 1917

Raffaele Viviani, ‘O vico atto unico del 1917

In una Piedigrotta a New York, Gilda lanciò una canzone scritta da De Luca e Buongiovanni, “Cartulina ‘e Napule”. Nello stesso teatro cantava Fabrizio Coppeto in arte Mario Gioia; s’impossessò della cartolina e, tornato a Napoli, la incise. Ebbe successo al punto che ancora molti lo reputano il primo interprete della canzone che ha commosso migliaia di emigranti: “M’è arrivata stammatina / ‘na cartulina; / è ‘na veduta ‘e Napule / ca m’ha mannata mammema! / Se vede Capre, Proceta, / se vede Margellina, / ‘nu poco ‘e cielo ‘e Napule… / che bella cartulina! / Napule!… / aggio scritto pe’ tte chesta canzone / e pe’ ricordo ‘e mammema / aggio chiagnuto lacreme ‘e passione”.
Sentimentale spinta, la “cartulina” divenne un inno. Il figlio dell’impresario Acierno, Frank, l’apprezzò molto. Ancora di più apprezzò la sua interprete e la sposò.

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Gilda Mignonette

Mignonette fu la regina degli emigranti, di quegli uomini e di quelle donne che vivevano fino in venti in una stanza di quattro metri per quattro, tentando di difendere la loro intimità con una coperta appesa a un filo tra un letto e l’altro. Si sentì un’ambasciatrice della terra lontana. Fra l’altro, di quanto accadeva laggiù, dell’evolversi in peggio dell’avventura fascista, sapeva poco o niente. L’Italia era l’Italia e basta, anche se tutto era nero come le camicie dei gerarchi. Così, inflessibile nazionalista – in piena epoca di sanzioni commerciali all’Italia fascista, punita per l’aggressione coloniale all’Etiopia del Negus – invitò gli spettatori a cantare con lei “Faccetta nera”. Il marito Frank applaudiva fino a scottarsi le mani.

hqdefaultIl giorno della dichiarazione di guerra di Mussolini agli Stati Uniti, l’11 dicembre 1941, Mignonette rappresentò al Majestic la rivista “Tunisi italiana”, nella sala traboccante di bandiere tricolori, in cui risonavano cori di eia-eia-alalà. La polizia, inevitabilmente, proibì la replica. E lei ficcò la gente di Little Italy in trenta torpedoni e andò a esibirsi in un locale alla periferia di New York. Con il marito venne processata per attività antiamericana. Era troppo popolare per gettarla in carcere, e tuttavia la giuria le vietò di incidere dischi e ordinò la censura preventiva sulle canzoni del suo repertorio. Agenti dell’Fbi si misero a pedinarla dovunque, Mignonette gli faceva smorfie divertite.

200805-Finita la follia della guerra, le cartoline con il pino solitario sullo sfondo del Vesuvio non bastarono più a combattere la nostalgia. Tornò a Napoli sempre più spesso, Frank era un’ombra al suo fianco. Sul piroscafo imbarcavano la Rolls Royce di famiglia, prova evidente di fortuna raggiunta, simbolo di possibilità.

Neppure i viaggi si rivelarono antidoti sufficienti alla malinconia. Una sera Mignonette, sempre più Griselda, guardò Frank negli occhi e gli disse: “Torniamo a casa”. Frank la ritenne una stupidaggine, ma disse sì. Erano passati ventinove anni.
Il gran gala d’addio fu fissato per il 22 marzo 1953 all’Accademia musicale di Brooklyn. Si prenotarono in cinquantamila. Pochi giorni prima, la cantante cadde e si frantumò la gamba sinistra. Rinvio al 17 maggio. L’artista si presentò in palcoscenico su una sedia a rotelle. Dovette rinunciare al cambio d’abito fra una scena e l’altra. Alla fine disse: “Mi ritiro nella mia Napoli”.
Salì sull’Homeland, ancorata nel molo di Ellis Island, il 27 maggio.

12167103_10206819416077249_1708023236_nCon lei erano Frank, il fratello, la cognata, due cani e quarantadue valigie. I paesani sventolavano i fazzoletti. Lei era felice. Al terzo giorno di navigazione Frank vide un filo rosso all’angolo del suo sorriso, un filo di sangue. “Sarà l’emozione”, si dissero. Al settimo giorno la nuova emorragia fu imponente. Mignonette prese le mani di Frank: “Se muoio, non permettere che mi buttino a mare come i marinai. Fammi portare a Napoli”.
I medici di bordo tentarono invano di farla scendere a Gibilterra, affinché potesse essere curata in un ospedale. “Portatemi a Napoli” ripeteva. A Lisbona salirono sul transatlantico medici importanti, si radunarono in consulto e diagnosticarono una cirrosi epatica irreversibile.

L’8 giugno mancavano appena ventiquattr’ore all’approdo a Napoli. Griselda Andreatini detta Mignonette morì in un punto di mare al largo dell’Algeria. Nel porto l’aspettarono soltanto il vecchio maestro Ciaramella e qualche collega più giovane. Il giorno 10, dietro al carro nero partito dalla chiesa di San Pietro ad Aram, al Rettifilo, c’erano pochi artisti ma tanta gente. La cartolina era finalmente arrivata a destinazione.

 

 

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Un pensiero su “Quando i migranti
avevano una regina

  1. giancarlo ascione

    Una pagina importante della storia di Napoli in un articolo avvincente come un romanzo!

    Replica

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