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Bye bye London

 di Gianpaolo Santoro

E no miei cari, la Gran Bretagna non è la Grecia, povera e ricattabile, questa volta non ha vinto la grande ipocrisia dell’Europa a tutti i costi unita, i cittadini della Gran Bretagna si riappropriano della propria totale sovranità nazionale,   scevra da accordi e trattati

13530336_10208555697923210_1374933714_nRicchi contro poveri, giovani contro anziani, ora ognuno viviseziona retoricamente il voto, molti cercano inutili alibi.La verità è che nove delle dodici grandi aeree che compongono il Regno Unito hanno votato in favore di Leave e contro questa Europa punita. Remain è prevalso soltanto in Scozia, a Londra e in Irlanda del Nord. Le aree più euroscettiche sono state le Midlands e regioni che comprendono grandi centri urbani come Birmingham e vecchi distretti industriali.

Boris Johnson

Boris Johnson, leader del fronte per l’uscita dall’Europa

Eppure perché fosse Remain l’Unione europea ha tentato di tutto e di più, ha cercato di incatenare con uno statuto speciale la già favorevole condizione della Gran Bretagna, che gia godeva di particolari “attenzioni” e che ha mantenuto sempre la propria sterlina, mani libere dalla zona dell’euro, con tutto quello che ha negativamente significato, e  non so se mi spiego.

Formalmente ora il Regno unito non ha più un piede da qua e l’altro da là, ha salutato tutti aprendo la strada di quella che può essere l’inizio della fine per questa Europa sempre più fragile. Sempre più evanescente. Sempre più confusa. Per molti sempre più inutile.

Nigel Farage

Nigel Farage, leader del fronte dell’uscita dall’Europa

La voglia di andar via ha spazzato tutto. Un tsunami. Non è bastato a Londra prima ancora di andare alle urne ottenere una serie di grandi agevolazioni come potersi chiamare fuori con molta disinvoltura da una serie di progetti europei esercitando il cosiddetto “opt –out”, non è bastato nell’accordo dello scorso febbraio siglato da Cameron con i 27 leader europei ottenere che il principio di “una unione europea sempre più stretta” non avrebbe riguardato la Gran Bretagna e che non ci sarebbe mai stato un esercito comune.

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David Cameron ha annunciato le dimissioni

Mani libere, sempre più libere. Una condizione di separati in casa, soprattutto nella politica economica dove era stato sancito un alto grado di autonomia per banche, assicurazioni e istituzioni finanziarie della City dal single rulebook europeo, cioè  il codice unico europeo, l’asse portante dell’Unione bancaria e della regolamentazione del settore finanziario nell’UE.

E neanche quello che ha preso il nome di “freno d’emergenza” è bastato a rassicurare gli animi. Londra avrebbe comunque riconquistato il controllo sulle sue frontiere, riuscendo a bloccare gli abusi dei lavoratori europei che “usufruivano del sistema di welfare del regno Unito, con l’eliminazione dell’accesso ai benefici (spalmato su quattro anni) per 7 anni fino al 2024. E dopo le tante chiacchiere strumentali sugli accordi che neanche si potevano scalfire, veniva sancita così anche la prima discriminazione all’interno dell’Unione europea: anche questo Merkel e soci avevano concesso facendo finta di niente. E c’era ancora dell’altro: l’indicizzazione degli assegni per i figli rimasti in patria dei lavoratori europei emigrati nel Regno Unito, sarebbero stati pagati in base al reddito medio del Paese di residenza.

Niente, il Regno unito non ha voluto sentir ragione, ha voluto il suo Independence Day. Hanno fatto bene, hanno fatto male? Ognuno ha le sue idee, di certo hanno impartito all’Unione europea una grande lezione di democrazia e di indipendenza.  David Cameron incassata la sconfitta ha annunciato le dimissioni. Resterà in carica altri quattro mesi sino al congresso. Sin da ora appare forte e chiara la candidatura di Boris Johnson, il vecchio sindaco di Londra, l’avversario di sempre di Cameron

timthumb.phpEd ora che succederà? Rigore, migrazione, fiscal compact, regole bancarie, come reagiranno tutti quei paesi dell’eurozona che soffrono maledettamente, che vivono una crisi che sembra non finire mai? Minacceranno anche loro un referendum per strappare norme più vantaggiose, chiederanno di ritrattare regole ed accordi? Si sfileranno uno ad uno. Esultano i leader dei partiti euroscettici di mezza Europa, naturalmente a cominciare da Nigel Farage, a Marine Le Pen del Front National a Geert Wilders dell’olandese Pvv a Matteo Salvini.

Siamo ad una svolta. E come sempre accade c’è voluta una spinta popolare di democrazia diretta, un referendum per dare la scossa finale, per far affrontare a Bruxelles quelle emergenze che l’europolitica non aveva saputo affrontare troppo impegnata a stabilire il diametro delle vongole e la grandezza dei pomodori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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