di Corrado Ocone
Ora anche il tradimento di Higuain. Ma c’è speranza per questa città e per il suo popolo, per il “paradiso abitato diavoli“? Certo, la storia non è cieco determinismo e tutto può accadere perché tutto cambia e muta. Ciò che è sicuro è che si può cambiare solo con un oggi inimmaginabile rivoltamento delle coscienze, una rivoluzione morale, non certo cullandosi nel mito infantile della “napoletanità”
“Higuain se n’è gghiuto, e soli ci ha lasciati”. Verrebbe voglia, a noi che siamo fieramente anticomunisti, di parafrasare Palmiro Togliatti, uno dei più cinici e pericolosi uomini politici che l’Italia abbia mai avuto, che così sarcasticamente salutò Elio Vittorini quando lasciò il Partito. Nessuna ironia o sarcasmo in questo caso, visto che è normale, è nel naturale ordine delle cose, che un professionista del livello del campione argentino vada dove riesce a spuntare il contratto migliore. A maggior ragione, se il vecchio datore di lavoro, diciamo così, si era ampiamente cautelato. Il calcio di serie A non è quello dell’oratorio: è divertimento, ma anche e soprattutto business.
Certo, anche il calcio della massima serie catalizza sentimenti e passioni, ma fa parte del gioco che questi siano messi in opera, o se preferite in campo, da persone che prestano il loro lavoro e che vengono valutati secondo il loro valore. Dal e sul mercato. Chi non sta al gioco può tranquillamente sceglierne un altro. O, semplicemente, “cambiare canale”.
È pur vero che il tifo, lo sport in genere, è un importante fenomeno sociale: coinvolgendo così tante persone, è, come suol dirsi, uno spaccato della società, uno specchio del carattere dei popoli e delle nazioni.
Nella fattispecie, la reazione dei napoletani alla notizia del passaggio di Higuain alla Juve ha mostrato ancora una volta la loro immaturità, la loro incapacità di fare i conti con le logiche della modernità. La categoria di “tradimento“, che è quella più usata, ha valore nei rapporti morali, non certo in quelli di divertimento o di affari. Ogni ambito della vita va giudicato iuxta propria principia, secondo i propri principi: è questa l’etica laica della modernità.
Che è anche un’etica della responsabilità, cioè sempre attenta alle conseguenze delle proprie azioni e non a sacre convinzioni che finiscono per tramutarsi in intolleranza e ideologia. Chi traspone le categorie morali in altri ambiti, non solo è in errore, ma alla fine è anche immorale e irresponsabile. E i tifosi napoletani, con le loro reazioni inconsulte, lo stanno ampiamente mostrando. Il paradosso poi è che, per similarità caratteriale o (più probabilmente) per opportunismo e convinzione, il presidente della squadra e il sindaco della città (non a caso rieletto ad ampia maggioranza nelel recenti elezioni) assecondano gli umori plebei dei tifosi e parlano anche loro di “grave tradimento”.
Con il secondo che vi aggiunge, a conferma della mentalità antimoderna che irrora le vene della città, una buona dose di facile anticapitalismo e di critica alle logiche di mercato. “Vedo solo interessi, soldi, affari”, dice con finta ingenuità sapendo di toccare i sentimenti più profondi della città dei lazzaroni, gli stessi che impediscono da sempre a Napoli di raggiungere i comuni standard delle altre città europee.
E anche il furbo paragone con Maradona, che certo non era insensibile al fascino del Dio denaro, mostra la pochezza umana del sindaco-arruffapopoli.
C’è speranza per questa città e per il suo popolo, per il “paradiso abitato diavoli“? Certo, la storia non è cieco determinismo e tutto può accadere perché tutto cambia e muta. Ciò che è sicuro è che si può cambiare solo con un oggi inimmaginabile rivoltamento delle coscienze, una rivoluzione morale, non certo cullandosi nel mito infantile della “napoletanità”.