di Carlo Paolo Visconti
C’è qualcosa che rende giorno dopo giorno sempre più imbarazzante, se non ridicolo l’eterno dibattito che ruota intorno alla compatibilità tra religione islamica e occidente. Dialogo interculturale, multiculturale, dogmi religiosi, xenofobia, islamofilia si fondono e si confondono…
E’ bastato che in Costa Azzurra, dopo quel maledetto bowling mortale della Promenade des Anglais, venisse impedito l’uso del burkini (costume integrale che copre tutto il corpo) per ragioni di sicurezza (si temeva che alcune kamikaze si facessero esplodere) che, subito, si è scatenato l’inferno. Ovviamente in Italia più che da qualsiasi altra parte.
Si lede la libertà della donne musulmane, non si possono mettere divieti, si offende una religione, non c’è rispetto per le culture diverse dalle nostre. La solita, consueta, fuga in avanti. Debora Serracchiani, vicesegretario del Pd e governatore del Friuli Venezia Giulia è arrivata a citare Popper. “Se noi concediamo all’intolleranza il diritto di essere tollerata, allora noi distruggiamo la tolleranza, e lo stato di diritto”. Per questo difendo il diritto di poter indossare i burkini.”
La Serrachiani interpreta a meraviglia il pensiero dominante di una certa cultura di sinistra che va al di là di ogni ragionevole logica. Un castello di sabbia che si sfalda puntualmente davanti alla realtà. Ed allora scopri che l’Isis ha nientedimeno che messo fuori legge il burqa (quello che in Italia e in Europa si difende a spada tratta) in alcune zone. A darne la notizia è il sito “Iran Front Page”: “Il normale “dress code” imposto è molto rigido, le donne devono essere vestite di nero dalla testa ai piedi, ma da ora niqab e burqa sono vietati quando entrano in zone militari o centri di sicurezza di Mosul”.
In poche parole l’Isis se ne frega del diritto, della cultura, della religione e del credo se in gioco c’è la sicurezza. Esattamente il contrario di quello che si sostiene in Italia e in Europa!
Se non fosse drammatico sarebbe ridicolo. Le donne non possono entrare negli edifici di Mosul con il viso coperto, ragionevoli misure precauzionali sono state imposte dopo alcuni attentati. dopo che vari comandanti sono stati uccisi da donne velate.
Soltanto un mese fa, per festeggiare la liberazione di Manbij, importante e strategica cittadina siriana al confine con la Turchia, le donne hanno bruciato il vestito in piazza mostrando volti. Libere e felici.
Stesse scene erano successe ad Abu Qalqal, ad Aleppo. Ed è esattamente quello che è successo alle donne che scappano dall’Isis , una volta passato il confine, si spogliano della paura, dell’oppressione e dell’abito, come hanno documentato Shervan Derwish e Jack Shahine nel bel reportage “Freedom Portrait”.
Ora resta da capire che fine farà la famosa brigata voluta dall’Isis al Khansaa, dal nome di una poetessa molto cara a Maometto. Perché, è bene che sappiano tutti coloro che hanno cavalcato la tesi delle donne libere, fiere e contente di burqa, niqab e burkini, che queste amazzoni musulmane (per lo più muhajirat, straniere – egiziane e magrebine, afgane, turche, cecene ma anche inglesi e francesi) tra i 20 e i 50 anni e ogni giorno se ne vanno in giro per i territori dell’Isis armate di fruste e Kalashnikov, acidi e dentiere alla ricerca di altre donne che manifestano comportamenti “contrari all’Islam” per tutelare “il buon costume”. E inutile dirlo al primo posto delle regole da osservare c’è il burqa. L’ordine è uno solo. “Se mostrano gli occhi, picchiatele fino alla morte” .