di Gianpaolo Santoro
Con Shimon Peres se n’è andato un pezzo di storia. Non di Israele di cui era stato tra l’altro primo ministro e Presidente della Repubblica, ma del mondo. E’ andato via un grande uomo. Il conciliatore. Uno statista e un uomo d’azione, per larghi tratti della sua vita amato e celebrato più in Europa, più in America ed in parte del mondo arabo che nel suo paese. Le urne gli sono state quasi sempre ostili, al punto che lo chiamavano “the loser”, il perdente. Eppure come ha ricordato puntualmente Benjamin Netanyahu “non c’è un capitolo nella storia dello Stato di Israele, in cui Shimon non abbia preso parte”. Si, se n’è andato l’ultimo dei padri fondatori dello stato ebraico, l’ultimo “hakazen”, grande vecchio
E con lui probabilmente è svanito il grande sogno: quello di dare al suo Paese ed al mondo intero la pace con i palestinesi. Qual era il suo progetto, la sua linea guida?
Come è stato scritto “nutriva una visione mistica, utopistica e globalista del medio oriente: vedeva Israele come grande luce fra le nazioni e ponte per la modernizzazione e lo sviluppo della mezzaluna”.
Recentemente in una intervista Peres aveva detto. “Calcola quanti risultati hai raggiunto nella vita e quanti sogni hai avuto. Se il numero dei tuoi sogni supera quello dei risultati, sei giovane”.
E lui il sogno dei sogni l’aveva sempre dentro il cuore: la pace in Medio Oriente. Un’utopia? Chissà.
Di certo ha speso tutta la sua vita spesa con un grande obiettivo: la pace. E fu l’uomo di degli accordi di Oslo che strinse la mano ad Arafat, l’uomo che ebbe il Nobel per la Pace.
Un ebreo polacco figlio di un commerciante e di una bibliotecaria: in fondo nella biografia di Shimon Peres c’erano tutti gli elementi della redenzione dello stato ebraico: i familiari che vengono uccisi durante l’Olocausto (molti bruciati vivi nella sinagoga locale), l’emigrazione dalla Polonia, il lavoro in un kibbutz come addetto al latte e poi come assistente personale al leader fondatore, David Ben-Gurion.
L’impegno di Peres per Israele prima che politico fu militare. Fu il padre dell’infrastruttura civile militare israeliana, fu lui a volere e forgiare un esercito popolare e democratico, divenuto una scuola di integrazione del paese, fu lui a importare i cannoni dal Canada nel 1951, a costruire i jet dell’aeronautica militare: fu lui a trattate e convincere John Kennedy a dotare Israele delle più moderne armi da guerra, fu lui, insomma insomma a voler dare al Paese uno degli esercito più tecnologici, più moderni, efficienti e più coesi del mondo.
Ha sempre avuto un solo obiettivo, un traguardo: la sicurezza di Israele. Ben conscio che l’annoso conflitto arabo-israeliano non si poteva però raggiungere con la sola forza bastasse. Era il falco con il cuore di colomba.