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Marta e il Maestro

di Ottorino Gurgo

Dal “diario immaginario” di Pirandello, tratto da “Marta e il Maestro”  edito dalla Casa editrice Leucotea.

Mercoledì 7 ottobre 1925 È la fine, è la fine. Mi domando, chiuso nella mia stanza al “Plinius”, se continuare a vivere abbia per me ancora un senso o se non farei bene a porre fine, una volta per tutte, a questa mia disperata esistenza. Forse ho perduto per sempre la mia Marta in questa atroce notte di Como perché è accaduto quel che non sarebbe mai dovuto accadere.

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Quando, ieri sera, mi sono accomiatato dalla Compagnia, e ognuno si è ritirato nella propria stanza, ho pensato di fare una breve passeggiata, di fumare un’ultima sigaretta.

Strada facendo non ho potuto fare a meno di pensare a Marta come ad una meravigliosa espressione di vita. Lei – mi sono detto – non può essere soltanto uno dei personaggi delle mie commedie. È, deve essere, molto di più. Con lei, e per lei, è ormai giunta l’ora che io superi quel motto al quale mi sono sempre ispirato: “La vita o la si vive o la si scrive. E io la scrivo”. Ho fatto questa scelta da quando le porte della clinica psichiatrica si sono chiuse alle spalle della mia Nietta e mi è stato detto che non si sarebbero riaperte mai più.

Ma ora c’è Marta – ho pensato – che mi riporta alla vita e non è giusto che io alla vita mi sottragga. Che m’importa della differenza d’età che ci divide, delle convenzioni, dei pettegolezzi dei mediocri, delle insinuazioni volgari di quel vanesio di Picasso che, roso dalla gelosia, mette in giro maldicenze. Non è giusto esitare ancora. Non sentivo più il freddo che pure s’era fatto intenso, ho accelerato il passo, sono tornato all’albergo.

Dalla strada ho visto la finestra della stanza di Marta illuminata. Era ancora sveglia: dovevo vederla, dovevo parlarle, dovevo finalmente vivere la vita che per troppo tempo mi ero negato.

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Luigi Pirandello e Marta Abba

Ho pensato che anche lei mi stesse aspettando; sono entrato in albergo; ho salito quasi correndo le scale; ho raggiunto la sua stanza; ho bussato alla sua porta.

Quando ha aperto ci siamo guardati senza proferire parola. A che servivano, del resto, le parole ? Io sapevo perché ero lì. E anche lei lo sapeva. Poi, improvvisamente, ci siamo trovati uno nelle braccia dell’altra e, quando ci siamo sciolti da quell’abbraccio, lei mi ha preso per mano e mi ha portato dentro la stanza.

È stato a questo punto che è accaduto l’imprevedibile. Ho sentito la testa girarmi vorticosamente. Mi sono sentito tragicamente ridicolo, fuori luogo e fuori posto, colpevole verso di me e verso di lei.

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Ottorino Gurgo

In pochi attimi sono passati davanti ai miei occhi il volto di mia moglie, dei miei figli, di mio padre nel giorno in cui scoprii i suoi tradimenti che tanto dolore avevano recato a mia madre. In un lampo ho anche pensato al danno che avrei provocato a lei, Marta, facendone la mia amante in un rapporto che mi sembrava avesse il terribile sapore dell’incesto.

E’ stato allora che ho voltato le spalle e sono fuggito. Sì, letteralmente fuggito. Ora sono qui, nella mia stanza. Non so quel che accadrà domani. So con certezza, però, che la vita, se per me avrà ancora senso continuarla, dovrò limitarmi a scriverla. Viverla, mai più.

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Giovedì 8 ottobre L’ho rivista nella hall dell’albergo, quando stamane ci siamo incontrati, con la Compagnia al completo, per mettere a punto gli ultimi dettagli del viaggio in Germania. Abbiamo recitato alla grande tutti e due, fingendo che non sia accaduto nulla, ma ho dovuto fare un indicibile sforzo perché solo io so quale tormento, quale lacerazione stessi vivendo dentro di me. Soffrivo come una bestia.

Ho preso una decisione. Visto che la vita devo limitarmi a scriverla, scriverò una commedia per lei. L’ho già in mente.

 

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