Lidio Aramu

Lidio Aramu

Si è occupato sostanzialmente di agricoltura e di marketing agronomico, ha collaborato con quotidiani e periodici. Ha scritto tre libri

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L’eroe misconosciuto

di Lidio Aramu

 Avevo più volte posato lo sguardo sulla pila di volumi in bella mostra sulla mia scrivania, ma la precarietà del mio stato di salute m’impediva di leggerne un solo rigo, ciò nonostante un libro con l’immagine di uno stormo di aerosiluranti italiani dal titolo “L’avventurosa vita di mio padre, Arduino Buri, il siluratore della Nelson” scritto da suo figlio, Giuliano Buri, m’incuriosiva particolarmente.

Lidio Aramu

Lidio Aramu

Recuperate un po’ di forze ed un minimo di capacità di concentrazione ho cominciato a leggerlo. Il titolo del volume è sicuramente riduttivo rispetto al suo reale contenuto, induce a pensare ad uno dei tanti memoriali scritti nell’immediato dopoguerra – in genere da militari di alto rango – per ricordare le loro rimarchevoli gesta compiute nel corso dell’ultima Guerra mondiale. In realtà, la narrazione svela ben altro. E’ uno spaccato di vita e di italica storia che si sviluppa tra i primi del ‘900 e gli Anni ’50 ed ha per una famiglia irredentista e borghese triestina.

L’irredentismo italiano si sviluppò tra l’800 ed il ‘900 per reclamare l’annessione al Regno d’Italia dei territori abitati da cittadini di lingua, tradizioni e cultura italiane. I Circoli era diffusi un po’ dovunque, a Napoli agiva L’Associazione in pro dell’Italia irredenta, fondata dal triestino Matteo Renato Imbriani, ma Trieste e Trento costituirono gli obiettivi e nel contempo furono i maggiori centri propulsori.

Cesare Battisti nel momento della s ua impiccagione per mano del boia Lang

L’impiccagione di Cesare Battisti

Leggendo le pagine giovanili scritte da Arduino Buri tornano alla mente le fulgide ed eroiche figure di Guglielmo Oberdan, Cesare Battisti, Nazario Sauro, Fabio Filzi, la Trieste dei fratelli Giano e Carlo Stuparich e di Scipio Slataper. E mentre scorrono queste immagini sembra di udire in sottofondo gli incendiari discorsi del Vate e di Filippo Corridoni.

Al pari di tanti italiani anche Arduino Buri, sebbene fosse ancora un bambino, conobbe gli orrori della guerra e la durezza della repressione austriaca.

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Alla tenera età di nove anni, con la sua mamma, venne prelevato dalla gendarmeria austro-ungarica «Di notte ci fecero salire sul treno in vagoni di terza classe… Ci fermammo diverse volte e ad ogni fermata vi era un controllo… Giungemmo al Campo di concentramento di Katzenau… Ci diedero una coperta ed un pezzo di pane nero». Il bimbo sotto-alimentato, costretto a dormire sul nudo pavimento e costretto ad uscire all’esterno della baracca per i propri bisogni fisiologici ben presto si ammalò. Le sofferenze s’interruppero grazie ad uno scambio di prigionieri.

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Nel 1920, a Trieste, si costituirono le prime “Squadre Volontarie di Difesa Cittadina”. Arduino Buri ne entra a far parte col grado di capo manipolo allo scopo di difendere il territorio italiano confinante con la Slovenia. A soli diciassette anni, come tantissimi reduci, prese parte alla Marcia su Roma, senza però mai prendere la tessera del Partito Nazionale Fascista.

L’anno seguente entrò da volontario alla scuola Allievi Ufficiali di Pola e fu promosso sottotenente degli Alpini, ma il suo sogno era quello di volare. Per coronarlo attese la riorganizzazione dell’Arma Azzurra fortemente perseguita da Italo Balbo. Frequentò il Campo Scuola Aviazione di Passignano conseguendo l’agognato brevetto. Da quel momento, volando su un “S59 bis” eseguì voli di ricognizione, voli notturni, soccorso aereo, prove motori.

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Nel 1935, a bordo dei “RO” e dei “Ca 101 bis” partecipò alla guerra somala compiendo voli di bombardamento, ricognizione, copertura aerea alle truppe terrestri, collaborando coi generali Ranza e Bergonzoli. Conquistò così medaglie ed encomi ufficiali. Nel contempo constatò l’inadeguatezza della macchina bellica italiana: «Mio padre mi raccontò di altre “porcherie” che avvenivano quasi sempre regolarmente, come la richiesta di bidoni di carburante per rifornire i nostri aeroplani che invece contenevano acqua o altre sostanze, Una volta avevano richiesto vestiario e scarpe di ricambio, si aspettavano divise e caschi coloniali, invece ricevettero cassoni pieni d’indumenti destinati al fronte russo».

Promosso capitano, Arduino Buri, prese parte col nome di “ Arduino Brazza” alla guerra di Spagna tra nazionalisti e repubblicani. Comandante della 289a Squadriglia Bombardieri Veloci compì numerosi bombardamenti su città, vie di comunicazione, ponti conseguendo due medaglie d’argento e due croci di guerra.

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Il lavoro prodotto da Giuliano Buri è in realtà complesso e singolare in quanto è riesce a fondere le pagine autobiografiche giovanili del papà con i suoi ricordi personali. Nel libro la storia alta si umanizza, assume i volti e i nomi dei suoi protagonisti: dall’umile aviere al più celebrato dei piloti. Ma non basta. Contestualmente al procedere delle fasi storiche, Giuliano Buri racconta, con dovizia di particolari, l’evoluzione tecnologica, alla quale Arduino Buri non fu estraneo, degli aeromobili utilizzati dall’Arma Azzurra in guerra e pace.

Per la terza volta agli italiani giunge la chiamata alle armi. Questa volta nella veste di nemico sono di turno la Francia e l’Inghilterra. E’ il 10 giugno del 1940. Mussolini dall’alto del balcone di Piazza Venezia incita i combattenti ed il popolo italiano con la celebre frase: “L’Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai. La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: Vincere! E vinceremo. Per dare finalmente un lungo periodo di pace con giustizia all’Italia, all’Europa, al mondo.Popolo italiano: corri alle armi, e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore!”.

In realtà le cose andarono diversamente, ma i combattenti italiani diedero incontrovertibili testimonianze di valore e coraggio su tutti i fronti, conquistando spesso il rispetto del nemico. La storia scritta da Giuliano Buri riporta ai giorni nostri un episodio accaduto nel corso della Battaglia dei Convogli o Battaglia del Mediterraneo.

Il Mediterraneo, infatti, fu lo scenario di numerosi scontri aeronavali tra le forze dell’Asse (Italia-Germania) e quelle anglo-americane impegnate rispettivamente a difendere le proprie linee di rifornimento e a contrastare allo stesso tempo quelle avversarie. I convogli italo-germanici seguivano la rotta nord-sud per rifornire le truppe dell’Asse in Libia e poi Tunisia, mentre quelli inglesi per sostenere la strategica isola di Malta, partivano dalle basi di Gibilterra e Alessandria d’Egitto.

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L’attacco alla Nelson

Giuliano Buri racconta l’episodio del siluramento operato dal suo papà della nave da battaglia HMS Nelson, ammiraglia della flotta inglese nel Mediterraneo, colpita a prua ed immobilizzata per sei mesi. Quest’eroica azione costituisce il momento più elevato dell’attività militare di Arduino Buri grazie alla quale, a guerra conclusa, gli fu reso l’onore delle armi e l’encomio del vice comandante dell’ammiraglia britannica: il commodoro Archdale.

Sulla stessa unità navale, per ironia della sorte, venne firmato la formula definitiva dell’armistizio – dopo quello di Cassibile – dal generale Eisenhower e il maresciallo d’Italia Pietro Badoglio.

Giunse così l’8 settembre 1943. Il maresciallo Pietro Badoglio annunciò al popolo italiano il proclama di armistizio di Cassibile sottoscritto dal governo Badoglio per il Regno d’Italia e dagli anglo- americani.

Pietro Badoglio e il nuovo Capo di Stato Maggiore Armando Diaz, 1918

Pietro Badoglio e Armando Diaz

Vittorio Emanuele III, dopo essersi pavoneggiato dei titoli di re d’Italia ed Albania e di Primo Maresciallo dell’Impero, fuggì da Roma con i vertici militari, Pietro Badoglio capo del governo, prima a Pescara e poi a Brindisi. A causa della confusione determinata dall’ambiguità delle clausole dell’armistizio, molti ritennero, compiendo un tragico errore, che, a quel punto, la guerra fosse terminata. Fu il caos totale, l’esercito si sbandò. Sul fronte i soldati continuavano a combattere mentre in Italia era un fuggi fuggi generale. La mancanza di ordini chiari determinò la cattura e la deportazione nei lager di circa 900 mila militari italiani, attentati, stragi – Cefalonia per citarne una – e l’odiosa liturgia delle rappresaglie per opera delle truppe germaniche.

Fu quello il momento delle ardue decisioni le cui motivazioni derivavano dalle storie personali, dai convincimenti politici, da fattori ambientali. Divampò la guerra civile che vide contrapposta l’Italia ante armistizio e le truppe anglo-americane fiancheggiate dai partigiani. Si concluse così tragicamente la guerra fratricida cominciata in terra di Spagna.

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Arduino Buri – seppur attraverso i ricordi del suo figliolo – racconta i motivi della sua adesione alla Repubblica Sociale Italiana: «Per prima cosa, non avendo ricevuto ordini specifici più volte richiesti, decisi secondo coscienza ed in base a notizie ricevute. Il Maresciallo Badoglio “si arrese” quasi immediatamente, il Re, a cui mio padre non aveva giurato fedeltà, scappò insieme alla sua famiglia lasciando l’Italia da sola in mano agli avversari. Si schierò quindi dalla parte che non accettava la “resa senza condizioni”. Forse vi saranno state altre motivazioni che non mi ha mai raccontato».

Continuò quindi a combattere a bordo degli aerosiluranti, assumendo, tra l’altro, la responsabilità del comando dell’Ispettorato Aerosiluranti nell’ambito dello Stato Maggiore dell’Aeronautica Repubblicana. Con la fine delle ostilità, gli ufficiali superiori repubblicani – fra i quali il nostro eroe – furono degradati ad aviere semplice.

In quei tragici giorni – ampiamente documentati da autori di opposte fazioni quali Giorgio Pisanò e Giampaolo Pansa – ove la mattanza di fascisti o presunti tali, preti e cittadini benestanti per mano comunista continuava incessante nonostante la fine della guerra, Arduino Buri maturò la decisione di espatriare.

Così come molti ufficiali e sottufficiali della RSI, gerarchi, ministri della RSI, anche il protagonista della nostra storia trovò ospitalità nella Buenos Aires di Juan Domingo ed Evita Peron. Dopo aver superato i controlli di rito alla Dogana argentina, un ufficiale lo invitò a presentarsi all’Istituto Aerotecnico di Cordoba dove dall’iniziale posizione di meccanico motorista passò a capo reparto per tornare successivamente alla Direzione Generale di Buenos Aires.

Arduino Buri rientrò definitivamente in Italia nel 1954 a bordo del Giulio Cesare. Allo sbarco prese atto dell’accoglienza minacciosa dei camalli genovesi e del CLN locale che imbrattarono i suoi bagagli con le scritte “Buri non ci siamo dimenticati di te”, “Prima o poi la pagherai”, “C’è una pallottola che ti aspetta” e del fatto di essere «l’unico ufficiale superiore non essere messo in posizione ausiliaria, come gli altri ufficiali alla RSI in posizione e grado più elevato della sua. Mio padre era stato degradato ad aviere senza i benefici della pensione».

La casa saccheggiata dai partigiani e successivamente dai tedeschi, la mancanza di denaro al punto da dover chiedere ai frati dell’Opera Francescana di Milano un pasto caldo per lui e la sua famiglia, non impedirono al colonnello Buri di intraprendere un’ostinata lotta per la riconquista dei propri diritti ed ottenere quello che ad altri ufficiali era stato già concesso da tempo.

Una lotta titanica contro leggi, leggine, cavilli che non produsse granché. Fu così che decise di chiedere udienza al Ministro della Difesa Giulio Andreotti. Incontro che avvenne nel 1967.

Giulio Andreotti

Giulio Andreotti

Andreotti lesse il promemoria scritto da Arduino Buri ed esclamò «Di lei, Colonnello conosco tutto, ho sentito i suoi colleghi, ho letto le sue imprese, sono piacevolmente impressionato. Visto che mi si libera un posto da Comandante dell’Accademia, sarei disposto a concederle quel Comando per sei mesi, di più non posso poiché ho molte altre persone da sistemare, al termine di detto periodo verrà posto in congedo, con tutti gli onori, con il grado di generale di Brigata. Però dovrebbe firmarmi questa lettera, per poter giustificare il mio operato».

Si trattava di un documento prestampato nel quale vi era espressa la formula: “ Rinnega il suo passato nella RSI”.

A quel punto, il colonnello Buri riprese i suoi documenti e rivolto al Ministro Andreotti esclamò: «Onorevole mi chiamavo Buri quando sono entrato nel suo ufficio, mi chiamo ancora Buri e non rinnego il mio passato!» Si alzò, batté i tacchi ed uscì sbattendo la porta. Il volume si conclude con la narrazione dell’impegno da civile di Arduino Buri nello sviluppo degli aeromobili da turismo, nell’organizzazione dei raduni aerei e nella divulgazione della storia degli aerosiluranti.

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La lettura del volume è fluida, avvincente grazie al linguaggio semplice ma efficace adoperato dal suo autore. Richiuso il libro e ripensando alla storia appena terminata, lo spirito romantico che mi anima mi pose un quesito: ma ha ancora un senso oggi parlare di eroi, di Valori, di Amor Patrio?

La risposta è immediata ed è data dall’imbarbarimento della società moderna ove una vita umana non vale più nulla, dalla diffusa corruzione che fa lievitare i costi in cambio di servizi da “terzo mondo” o infrastrutture inutili e costose, dalla scarsa attenzione alle problematiche, a volte drammatiche, dei lavoratori, dei cittadini diversamente abili, degli invalidi. In tale contesto non c’è spazio per l’eroe.

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Arduino Buri

Sembra quasi che una censura invisibile cancelli sistematicamente gli atti di eroismo quotidiano: come le prestazioni del personale ospedaliero fornite in contesti inadeguati, dagli appartenenti alle Forze dell’Ordine che non di rado sacrificano la loro esistenza per il trionfo della legalità e la difesa dei cittadini, dei sacrifici del padre di famiglia per i propri figli; dei missionari – laici e religiosi – che lottano quotidianamente contro la fame e le malattie in luoghi estremamente svantaggiati e pericolosi, del volontariato operoso e silente.

Il nostro tempo censura l’eroe, in quanto non tollera l’eroismo.

Fausto Gianfranceschi scrisse: «Si può impunemente oggi parlare di Dio, della bellezza, della virtù, del carattere, dell’eroismo, dell’amore? No. Il sistema non lo vieta, esso agisce in maniera più sottile: chi pronuncia quei nomi è fuori, è indietro».

Con grande determinazione Giuliano Buri ha liberato dall’opprimente polvere della storia la fulgida figura del suo papà portandola avanti. Certo lo ha fatto per amore ed orgoglio filiale, ma ha reso un prezioso servigio a tantissimi italiani che continuano a credere – come sosteneva l’intellettuale Francesco Grisi – che sono « Beati i popoli che onorano gli eroi perché in ogni occasione possono sperare di avere eroi in tutti i campi: in guerra e pace».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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2 pensieri su “L’eroe misconosciuto

  1. Giuliano Buri

    Carissimo Livio, sono commosso per la bellissima recensione che hai scritto per il mio libro. Hai colto perfettamente il segno di ciò che desideravo esprimere nei confronti della memoria di mio padre , uno dei tanti veri italiani che hanno combattuto e creduto fino all’ultimo nella speranza di avere una Italia più pulita, onestà e piena di valori che oggi sono continuamente calpestati.
    Grazie ed un forte abbraccio dal tuo amico.

    Giuliano

    Replica

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