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I barboni nella terra dei Borboni

di Carlo Alberto Paolino

Una notte, come tante. Si sono spente le luci delle case, la città dorme. Eppure neanche la notte è uguale per tutti. C’è un’altra città, invisibile a molti, moltissimi, che tenta di dormire, che tenta di sopravvivere al freddo gelido dell’inverno come al caldo torrido dell’estate. E’ la città degli invisibili, di quelli che vivono per strada e che per tetto hanno un cielo di stelle. Sono i nostri clochard, sono i barboni nella terra dei Borboni.

Soli, emarginati. Senza futuro e senza passato. Chi vive per strada non vuole guardare avanti ma non vuole neanche guardare indietro. La loro vita è solo il presente, quel poco che c’è nel presente. Antonio, Paola, Dimitri. Ma non è detto che siano i loro veri nomi. Vivono alla giornata lottando ogni giorno come nella giungla dove regna la legge del più forte, una giungla metropolitana. Ed ogni tanto qualcuno non ce la fa. Muore nell’indifferenza. Nell’anonimato.

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Gli unici “amici” sono quelli che la notte portano loro una parola di conforto e generi primari, giusto per la sussistenza. Volontari che regalo in loro tempo ed il loro amore. Ci sono più organizzazioni che agiscono sul territorio, noi abbiamo seguito “gli amici di strada, un gruppo che ogni lunedì si incontra  in una sala della Parrocchia  di Santa Maria di Piedigrotta, intorno alle ore 18,00 per incominciare a preparare i pasti, tutti donati dalle stesse famiglie della  parrocchia. Un gruppo, una macchina organizzativa, che funziona ormai da undici anni. “La voce dei poveri deve essere un invito per aiutare loro ma anche un invito ad aiutare noi stessi”.

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SI preparano i “pacchi” per la notte…

Il rituale è sempre lo stesso, l’operazione prende il via, d’estate e col bel tempo, fuori il piazzale della chiesa. Dopo aver pregato tutti insieme tenendosi per mano ricevono il loro pasto dal diacono Giovanni Improta o dal parroco Franco Bergamin.

Ci sono italiani, stranieri, musulmani, cristiani, bianchi e neri, che sorseggiando un caffè, raccontano le loro giornate e di quel che avrebbero bisogno: scarpe, indumenti, medicine ed altro.

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Tra di loro Kalem che vive in una casa di  cartone sotto l’ufficio della posta adiacente, vive di elemosina e purtroppo di birra, che a detta sua  “gli attiva i muscoli per affrontare al meglio la giornata…” Gli si è stato offerto di vivere in un centro di accoglienza, ma lui ha rifiutato: preferisce essere libero da regole, da orari, da abitudini. Un altro habitué è Omar, che ha una pallottola poco sotto il polmone, un sopravvissuto. Anche lui è insofferente alle regole, vive per un sogno tornare a Tozeur, Tunisia meridionale, terra strappata al Sahara, la sua terra.

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Una volta terminata questa prima fase, “gli amici” caricano  nelle loro macchine i pasti imbustati con acqua , un primo , un panino e  frutta.

A questo punto si parte, destinazione via Michelangelo Schipa, dove  troviamo Bruno,  un napoletano che dorme sotto il porticato di un negozio, negozio al quale ha tinteggiato la saracinesca .. Bruno è un imbianchino che grazie a questi lavoretti “ tira a campà”. E’ rimasto solo senza casa, ma è stato in qualche modo “adottato” dal quartiere dove c’è tanta gente (non tutti, sia chiaro) che gli vuole bene e lo aiuta. Dalle parti dello chalet Ciro c’è un gruppetto che si arrangia alla men peggio, sono  musulmani e diffidenti. Meglio andare altrove. Non bisogna mai forzare le situazioni.

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Si prosegue verso il molo Beverello dove si incontra di tutto, una grande porta girevole, gente che viene , gente che va, ci sono facce conosciute ma anche nuovi arrivi, quasi sempre divisi per etnie. Gli indiani arroganti sono quelli che pretendono di più. Il porto che di giorno è percorso da tanti turisti festanti, di notte si trasforma in un mega dormitorio senza regole e senza legge. Non c’è proprio grandissima solidarietà, neanche fra i disperati. Il luogo è pericoloso, il litigi si susseguono, più d’uno dorme, come suol dirsi, con un occhio aperto, ed un coltello a portata di mano…Il rischio di furti è altissimo. Che cosa poi si possa rubare ad un barbone…

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Poi va allo stadio, la Galleria Umberto I, eterno campo di calcio con ragazzini che giocano a pallone a. Chi tenta da qualche parte di dormire di certo non gradisce, troviamo un barbone incazzato nero che grida come un matto. Ma i ragazzini non se ne possono fregare di meno. SI gioca ad oltranza.. L’ultima tappa è dalle parti del “Mattino” dove c’è una nostra vecchia conoscenza. Un pasticciere 45enne, ma che ne dimostra molti di più, in attesa della pensione di invalidità con la quale finalmente spera di potersi permette una stanza , un letto.

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La notte è piccola per noi, troppo piccolina “ cantavano le gemellone Kesler. Ed in effetti è proprio così. Il nostro viaggio nella città invisibile si è sostanziato nella distribuzione di cinquanta pasti. Dopo aver detto la preghiera e ringraziato il Signore, si torna a casa. Appagati.

(1.continua)

 

 

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