di Valerio Caprara
Si può giocare nel panorama cinematografico attuale la partita della comicità pura esattamente come facevano le serie dei Totò, Peppino, Taranto, Fabrizi, Sordi, Vianello, Tognazzi e compagnia farsesca? E’ quello che ha fatto Vincenzo Salemme insieme a Carlo Buccirosso, Maurizio Casagrande e Nando Paone “…e fuori nevica”, trasposizione sullo schermo di una fortunatissima commedia teatrale di circa vent’anni orsono.
Il patto con lo spettatore deve essere molto chiaro e il risultato dipende da quanto e come è stato rispettato. Se questa formula dovesse sembrare troppo cinica a proposito del nuovo film di Salemme che sta rianimando il botteghino nazionale in agonia, si può tornare col pensiero ai “rivalutati” hit dei Cinquanta e i Sessanta che non ci stanchiamo mai di rivedere ogni volta che spuntano dai più remoti canali tv. “… e fuori nevica!”, infatti, trasposizione sullo schermo di una fortunatissima commedia teatrale di circa vent’anni orsono, ha l’umiltà e ovviamente le qualità per potersi giocare la partita della comicità pura esattamente come facevano le serie dei Totò, Peppino, Taranto, Fabrizi, Sordi, Vianello, Tognazzi e compagnia farsesca.
Nel volutamente eccessivo accumulo di battute, giochi di parole e mimiche il racconto non ha bisogno di spaziare, ma, anzi, tende a implodere in un non-luogo dove la follia dei personaggi e la loro grottesca inadattabilità ai percorsi obbligati della vita prendono lo spettatore di petto e gli strappano di dosso senza troppi complimenti i gradi societari e i paramenti culturali.
“Conta-solo-ridere” potrebbe, infatti, essere il tweet di questi benemeriti dell’anti-depressione nazionale, questi recuperatori certosini dello humour seppellito dalla volgarità e la pretensione di troppi indegni epigoni del genere. Ecco dunque il farfallone cantante sulle navi da crociera che torna nella casa natale a causa della morte di mammà ed ecco un testamento che l’obbliga a convivere con i due fratelli per potere ereditare la sua quota della vendita dell’appartamento.
Peccato che alla sua (quasi) normalità si contrappongano le devastanti abitudini del contorto Stefano e soprattutto del mattocchio Cico, occasione ideale per dare il via al cospetto dello spettatore a un prolungato supermatch di mattatori in cui i personaggi minori (specie la Madè) servono a poco, ma la gradevolezza musicale e l’accuratezza scenografica hanno invece adeguato merito. A questo punto il critico o l’esperto possono solo assistere compiaciuti al dibattito che scatterà puntuale a luci riaccese: è meglio Salemme che guida la danza o Paone che monopolizza le acmi nonsensiche, Buccirosso che euforizza l’inquadratura prim’ancora di recitare la sua parte o magari Casagrande che col tormentone dello spagnolo rischia davvero di farvi soffocare in poltrona dal gran ridere?