Michele Caccamo

Michele Caccamo

Cittadino del mondo perché pratica l’unica lingua universalmente conosciuta: la Poesia

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E gli bucherei a sassate la testa

di Michele Caccamo

 Ecco, ve li offro i miei prigionieri della tristezza: quegli uomini comuni che rimangono pazienti in attesa del Paradiso, o dell’Inferno che sia. Da questa parte della terra la luna ha un lavoro consueto: cade in mezzo alla notte aprendosi chiara e straziante, come volesse mettere un gioiello, un giglio per l’eterno nei paesi; come volesse dare la parola alle strade

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C’è anche qualcuno che pigramente aspetta cada l’istante dell’estasi, o che la libertà diventi definitivamente legale.

Eccole, in Calabria, le ore dilette dai sogni. E allora tutto ha il senso della risurrezione, delle cravatte rosse come sete lucenti nella pena. E allora tutto riprende la pienezza dell’assenza, l’ignoto splendore della solitudine. Allora tutto ha il passo immortale di quegli orologi che sanno che nulla è mai per poco.

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È qui che la maledizione vive: negli occhi che sanguinano ogni giorno senza conoscerne il motivo; nella creazione, che al massimo è nel sicuro ovile del terrore.

E non ci si meraviglia se la morte in agguato già copre fino alle ginocchia; se la malandrineria ci riempie di spilli bianchi, di bandierine da gran pavese, come segno di conquista.

Non ci si meraviglia se nella bocca abbiamo gli scheletri del passato sociale e nel petto un’incudine di ferro che toglie il fiato a ogni protesta.  E noi, per non urlare, mordiamo le vene nei pugni, la lingua, mordiamo anche le scarpe.

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Michele Caccamo

Saremmo la massa vincente, solo avessimo al fianco la volontà politica e il sostegno militare. Loro sono la parte minore della comunità, ma ci opprimono con la prepotenza: con i loro coltelli da macello nascosti, con le loro armi da fuoco usate alle spalle. Sono sbruffoni e vili, impestati dall’ignoranza.

Loro sono cuori freddi. Le loro donne hanno seni durissimi, che non esitano a strofinare nel piombo. E i loro figli non sanno giocare a palla.

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Loro hanno nel pensiero solamente spine e croci, cannoni di arroganza e un rimbombo in testa fatto di ferocia. Non hanno un sentimento da mettere in festa, ma denti e lame e pistole; non hanno nessuna coscienza, e anche a cercarne una traccia la troveremmo affogata nel sangue. Loro non hanno onore; perché non hanno alcuna forza al di fuori dai loro fucili.

Io vorrei mettere un chiasso popolare dentro alle loro anime; vorrei mettere un tamburo e l’Amore della mia gente nella loro vita. Vorrei entrare nelle loro pance con una bomba nelle mani: farli saltare come le rane, farli esplodere avendoli a bersaglio.  Vorrei metterli a ciuffo sopra alla cima della libertà, ridicoli e morti.

Io li vorrei uno per volta davanti, gli ‘ndranghetisti, per arrampicarmi sulle loro corna e bucargli la testa a sassate. Io vorrei poterli vedere piangere davanti a se stessi morti; vorrei vederli in agonia toccati al petto, con il viola sulle labbra, con lo sguardo supplicante all’ingresso della porta dell’oltretomba.

Vorrei vederli ricevere in bocca l’ostia dovuta ai moribondi. Vorrei vederli tremanti davanti alla condanna solenne di Dio.

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