Lidio Aramu

Lidio Aramu

Si è occupato sostanzialmente di agricoltura e di marketing agronomico, ha collaborato con quotidiani e periodici. Ha scritto tre libri

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A passeggio con Antonio…

di Lidio Aramu

 Non avevo bisogno di conferme della continuità della vita oltre la morte, ma quel giorno, rimettendo in ordine i tantissimi libri della mia personale biblioteca accadde un fatto singolare. Mi accingevo a spolverare lo scaffale quando, dalla colonna di libri, cadde dinnanzi ai miei occhi un testo a me particolarmente caro in quanto ritengo di esserne stato in qualche modo l’ispiratore. In una dei tanti onomastici del santo di Padova, avevo regalato ad Antonio Parlato il Federico II Imperatore di Ernst  Kantorowicz.

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Antonio Parlato

Bastò questo perché egli desse alle stampe un suo speciale studio su quanto lo Stupor Mundi fece per Napoli e per il Regno attraverso le “Costituzioni Melfitane”, gli editti e le leggi. E lo fece secondo il suo stile, strappando alla polvere del tempo episodi, leggende, testimonianze artistiche e l’amore di Federico per la singolare Natura ed i Campi Flegrei, influenzato senza alcun dubbio da Pietro da Eboli con il suo “De Balneis Puteolanius”.

29750369_10213491000847606_1119546247_nRicostruisce minutamente la Napoli sveva, le attività produttive, la centralità del porto nell’economia sociale della città e del suo contado. E nel rimettere insieme i tasselli di una storia ormai lontana nel tempo, Antonio, ne sottolinea gli aspetti che ancora oggi si ripresentano con sconcertante attualità.

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Lidio Aramu e Antonio Parlato

Decisi quindi di rileggere quel libro quasi che la sua separazione dalla pila fosse stata la manifestazione di una volontà ultra terrena.

Conoscevo già il testo, ma questa volta ebbi l’impressione che più che leggerlo lo stessi ascoltando raccontato dalla suadente voce dell’autore.

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Ernst Hartwig Kantorowicz

E mi raccontava di lotte furiose tra il Papato e l’Impero ed i tentativi di Federico di ricondurre le opere del Papa al solo potere spirituale. E poi del trasferimento degli arabi da Palermo a Lucera e la granitica fedeltà di questi verso l’Imperatore.

E mentre ascoltavo l’affabulazione dolce e convincente, avvertivo i cambi di tonalità della sua voce, i risolini di compiacimento. Eh si! Federico gli era entrato nel cuore, un po’ come accadde al grande storico Kantorowicz.

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Ed io risentivo le domandine che amava spesso farmi quando andavamo in giro per il Centro storico di Napoli: «Lo sai perché questa strada si chiama Vico Lungo del Gelso?», oppure, «Conosci la storia della Zecca che dà il nome alla vicina strada?», o ancora «Sai dove si trovava la Giudecca (il quartiere ebraico – n.d.a.)?». Lezioni peripatetiche di storia patria.

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Il punto più alto della narrazione coincide con la rappresentazione entusiastica dell’Idea imperiale giacché «Federico non consentì che si aprisse a Napoli e nel Mezzogiorno la “stagione dei Comuni”, avvertendo l’esigenza da un lato di uno “Stato nazionale” quale presupposto irrinunciabile di libertà comunali capaci però di modulare ed all’occorrenza subordinare le autonomie agli interessi più diffusi, alti e nobili di tutto un intero il popolo italiano e, dall’altro, di realizzare uno Stato laico, sovrano ed indipendente dalla Chiesa ricondotta nell’alveo esclusivo del suo altissimo magistero spirituale».

E fu sostanzialmente quella visione imperiale a fargli accettare, nel 1994, nel I Governo Berlusconi la nomina a Sottosegretario al Bilancio, con delega per i problemi del Mezzogiorno, intendendo bilanciare e stemperare l’azione centrifuga di un ministro leghista, sostenendo una infinità di iniziative produttive nel Sud.

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Il racconto è ormai terminato e la voce del mio affabulatore si affievolisce pian piano fino a tacere. Ma nella mia mente si affacciano le tristi vicende dell’attualità. Sembra che Napoli sia tornata indietro al tempo degli Aragona, quando i quartieri erano circondati da alte mura e governati dalle famiglie dei nobili, senza un sentimento civico collettivo. Solo che oggi non abbiamo più i sedili e neanche un’autorità comunale in grado di dare delle priorità ai bisogni ed intervenire equamente nella risoluzione dei problemi dei napoletani.

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Machiavelli scriveva che ogni popolo ha il governo che si merita. Ma i napoletani che peccato hanno fatto per dover sopportare la raffigurazione artefatta di una città tutta spaghetti, pizza e mandolini. Napoli è ed è stata ben altro. E di questo occorre ringraziare i napoletani come Antonio Parlato che hanno instancabilmente combattuto in prima persona la buona battaglia. Ed ancora adesso continuano, al di la del tempo dello spazio e della materia, a darci lezioni ed indicazioni perché Napoli viva.

 

 

 

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