Lidio Aramu

Lidio Aramu

Si è occupato sostanzialmente di agricoltura e di marketing agronomico, ha collaborato con quotidiani e periodici. Ha scritto tre libri

Sacrario dell’emigrante ignoto

L’armoniosa anarchia fallica

 di Lidio Aramu

 E’ risaputo: il patrimonio monumentale napoletano non trova spazio nei pensieri della cittadinanza e dei vertici istituzionali locali che dovrebbero gestire e tutelare la ricchezza culturale della città in termini comunitari. A testimoniarlo le indifese statue vandalizzate, senza soluzione di continuità nell’indifferenza generale, da un’orda barbarica autoctona. In questa interminabile gara allo scempio, la locale Soprintendenza spesso sembra rappresentare un valore aggiunto.

Le orride superfetazioni del Castello di Lamont Young; le irreversibili devastazioni del giardino storico della Villa Comunale; l’offesa permanente al luogo simbolo di Napoli, pur essendo questo tutelato da vincoli, con installazioni che alterano sensibilmente lo skyline del lungomare e privatizzano, di fatto, un bene comune; la trasformazione del monumento del Duca della Vittoria in una pessima imitazione di un suk medio-orientale sono soltanto alcuni esempi della mancata vigilanza dell’ente preposto alla tutela dei beni monumentali.

Lidio Aramu

Lidio Aramu

Così come l’onorevole De Martino, in occasione del lungo, aspro ed
articolato dibattito sul risanamento di Napoli, chiedeva retoricamente all’aula parlamentare come facessero a vivere i napoletani, oggi viene da chiedersi: “Ma a Napoli chi determina la gestione dei beni comuni? Chi tutela e valorizza i “giacimenti” culturali?“. Tra silenzi complici ed il sempre attuale gioco dello scaricabarile è difficile trovare una risposta, forse neanche Maurizio Ponticello, scrittore e profondo conoscitore dei misteri napoletani, ci riuscirebbe.

Aldo Masullo

Aldo Masullo

La città sembra incuneata in una spirale senza fine: la malinconia civile descritta da Aldo Masullo, nella quale prevale una diffusa indifferenza popolare verso i destini di Partenope e nel contempo risponde alle esigenze di un’armonica anarchia dove ognuno si ritaglia il proprio spazio per fare i propri comodacci, con l’avallo di una classe politica sempre più inadeguata alle impellenti esigenze di un riscatto socio-economico non più rinviabile. Tout se tien.

La fontana del Nettuno

La fontana del Nettuno

Nel turbinio quotidiano di uomini e cose, nulla può considerarsi definitivo. La storia delle pubbliche fontane e dei monumenti può essere d’aiuto a comprendere meglio il loro singolare peregrinare. Di casi degni di essere menzionati ce ne sarebbero a iosa, tuttavia per necessità narrative mi limiterò a ricordarne solo due.

Di solito le opere scultoree vengono collocate nei luoghi connessi alla storia o alla mitologia dei personaggi riprodotti nelle opere d’arte.

Fu così per la fontana del Nettuno e per il busto di Nicola Amore. La prima, dedicata al dio del mare, fu collocata ovviamente in prossimità di quel che resta della base navale, l’altro nel cuore dei quartieri bassi bonificati, al centro dell’omonima piazza, a ricordo dell’impegno profuso dal Sindaco nell’opera di Risanamento.

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Nicola Amore

La fontana del Nettuno fu realizzata per volere del vicerè Enrico Guzman su disegno di Domenico Fontana. In un primo momento fu collocata nei pressi dell’Arsenale (ex Base Navale), successivamente il luogo fu ritenuto inadeguato sia perché la fontana sarebbe stata esposta, nel caso di un attacco dal mare, al tiro delle artiglierie navali, sia perché era impossibile alimentarla con l’acqua.

Per questi due motivi fu spostata di fronte al Palazzo Reale per poi essere spostata ancora in via Medina. Nel 1898 fu utilizzata per ingentilire la piazza Bovio ricavata dagli abbattimenti del risanamento. Recentemente è tornata prima in via Medina, di fronte alla chiesa angioina di Santa Maria dell’Incoronata e poi con la ri-sistemazione di piazza Municipio ha trovato forse la sua sistemazione definitiva davanti al palazzo del Municipio.

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Statua equestre di Vittorio Emanuele

Al suo posto, in piazza Bovio, incombe la statua equestre di Vittorio Emanuele II che, a sua volta, si trovava nella piazza del Municipio. La statua di Nicola Amore, modellata da Francesco Jerace ai primi del ‘900, rappresenta il sindaco e senatore del Regno in atteggiamento oratorio mentre ai suoi piedi una figura femminile (Napoli) attende di essere risollevata. Sul piedistallo tre immagini simboliche ricordano l’opera del sindaco: Ercole che vince l’Idra, il Trionfo dell’Igiene, il Senatore romano durante l’arringa.

A quarantanni circa dalla sua collocazione, la statua, in occasione della visita di Adolf Hitler a Napoli nel 1938, per evitare al fuhrer una fastidiosa deviazione, fu trasferita nei giardini di piazza Vittoria, prossimi alla chiesa dedicata alla vittoria cristiana della battaglia di Lepanto.

Adolf Hitler a Napoli nel 1938

Adolf Hitler a Napoli, 1938

Napoli nell’armonia della sua anarchia non smette mai di stupire. Nelle strade, nei vicoli, nelle piazze si può sempre cogliere qualche elemento di novità. Ed è così che oltre alle statue pellegrine, può capitarvi sotto gli occhi un’artistica installazione partenogenetica, ossia priva delle valutazioni del Consiglio comunale. E’ il caso del Sacrario dell’emigrante ignoto, sorto nello spazio di una notte, come i funghi porcini quando si verificano le condizioni ambientali ottimali. Le condizioni ideali per l’installazione del manufatto acciaioso, manco si trattasse di un’iniziativa privata, sono state create dalla proposta della Fondazione Mediterraneo e dai consensi della Guardia costiera, del Genio civile e, incredibilmente, della Soprintendenza di Palazzo Reale.

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Il Sacrario dell’emigrante ignoto

L’opera d’arte vista dalla piazza Municipio si presenta come una sorta di lancetta da orologio arrugginita che sembra voler spezzare in due la simmetria della monumentale stazione marittima. Guardandola poi più da vicino, appaiono in tutta evidenza le sue forme falliche con tanto di scroto ed asta peniana in erezione. Immancabilmente Gennarino Esposito, arguto ed irriverente scugnizzo del quartiere Porto, lo ha già ribattezzato con la pittoresca espressione vernacolare “ ‘O cazz alèrta”.   Un vero obbrobrio che offende il prospetto dell’opera di Cesare Bazzani. Senza alcun dubbio si tratta di una installazione fortemente impattante che, oltre a mortificare l’uniformità marmorea della facciata principale della Stazione marittima, altera decisamente lo skyline della città vista dal mare. Pertanto non si riesce a capire in base a quali valutazioni, la Soprintendenza di Napoli abbia dato il suo benestare. Un altro mistero napoletano…

Anche dal punto di vista storico la location non risponde alla realtà. Se (particella “sgarrupativa”) l’intento della Fondazione era, infatti, quello di ricordare i nostri emigranti, avrebbe dovuto collocare il totem fallico nei posti dove realmente tantissimi disperati attesero l’imbarco per andare oltre oceano a cercar fortuna.

Il monumento andava quindi collocato o davanti all’Immacolatella vecchia – ma il contrasto con l’architettura barocca del Vaccaro sarebbe stato troppo forte e forse la Soprintendenza si sarebbe opposta – o più ragionevolmente nei pressi della Capitaneria di porto dove l’Ufficio dei Porti e dei Fari, a fine ‘800, costruì la prima stazione marittima del porto su progetto dell’ingegnere Luca Cortese del Genio Civile di Napoli.

del monumento del Duca della Vittoria x

Monumento del Duca della Vittoria

Evidentemente per la Fondazione Mediterraneo questi sono particolari di scarsa rilevanza, considerato che intendeva installarne uno in largo Donnaregina dinnanzi al museo diocesano, ma la ferma opposizione della Curia impedì la realizzazione del progetto.

Non si tratta quindi solo di ricordare i migranti ignoti. La Fondazione Mediterraneo detiene i diritti per riprodurre e distribuire ovunque si creino le condizioni ambientali favorevoli, in Italia e all’estero, l’opera d’arte di Mario Molinari. Anche laddove i flussi migratori non si manifestarono. Con ogni probabilità l’iniziativa del totem, oltre al doveroso ricordo, rientra in un piano di autofinanziamento.

A proposito del ricordo, che fine ha fatto il Museo dell’Emigrazione di bassoliniana memoria approvato e finanziato? L’ennesimo mistero napoletano…

 

 

 

 

 

 

 

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Un pensiero su “L’armoniosa anarchia fallica

  1. Gabriella Pesacane

    La “vela fallica” di Molinari è stata riprodotta anchea Rutino, un borgo più che un un paesino tra le montagne del Cilento, posto a notevole distanza dal mare. Trova posto di fianco all’unica chiesa del paese ed è tinteggiato (male) di rosso e giallo. Ovunque si metta è inadeguato perchè semplicemente brutto e smisurato. E’ una di quelle cose che sono carine sulla carta.

    Replica

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