di Lidio Aramu
Non potete né imprigionare, né uccidere la mia memoria. Ricordo bene cosa significò il 25 aprile per il popolo italiano e m’inchino rispettosamente dinnanzi a coloro che oltre gli schieramenti combatterono per il bene d’Italia e non per le vendette personali o per il desiderio d’instaurare una dittatura comunista.
Ma noi italiani siamo quelli che dichiarano festa la sconfitta e l’asservimento allo zio Sam; siamo quelli che a settanta anni dalla fine della guerra civile vivono “politicamente”, costruendosi invidiabili carriere, sull’odio sparso a pieni mani.
In quei giorni, urlavano “La pietà l’è morta”, e discriminarono e continuano a farlo persino i caduti. Ragazzi caduti dalla “parte sbagliata” commentò un politico della sinistra. Dovremmo invece seguirne l’esempio e tutti insieme lavorare per migliorare questa nostra, cara Italia. Non è più tempo per gli “Orazi e i Curiazi”.Eppure, proprio loro, potrebbero ancora impartirci una grande lezione di umanità: “Ad sepolturam suorum alteri imperio aucti, alteri sub alienam dizione redacti eunt. Sepulcra etiam nunc extant quo quisque loco cecidit (Vanno al sepolcro dei propri guerrieri, gli uni cresciuti in potere, gli altri sottomessi ad altri. I sepolcri ancora oggi si trovano là dove ognuno morì“.
La memoria, alimenta e sostanzia il nostro presente esortandoci a fare sempre meglio ed il nostro presente non può non coincidere con l’amore che siamo in grado di dare e di ricevere. Ma non tutti ne vogliono prendere atto. Basta con l’odio tanto al chilo. In Giappone, Germania, Francia… non esiste una data simile. Dopo la guerra quei popoli che avevano patito forse più di noi la barbarie della guerra, si rimboccarono le maniche e fecero risorgere dal baratro dell’immane conflitto le proprie comunità. E’ forse osare troppo chiedere ai reggitori della cosa pubblica d’intraprendere un cammino sincero di pace e di pacificazione nazionale? Ai posteri l’ardua sentenza…
Nel frattempo continuerò a ricordare perché come ha scritto significativamente Isabelle Allende: «Non esiste separazione definitiva finché esiste il ricordo»