Valerio Caprara

Valerio Caprara

Professore di Storia e critica del cinema all’Università degli studi di Napoli “L’Orientale” e dal 1979 critico cinematografico del quotidiano “Il Mattino”. Presidente della Campania Film Commission.

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La grande giovinezza

di Valerio Caprara

Sono molti i registi che affermano di volerci insegnare a vivere. Sono molti di meno i temerari che vogliono aiutarci a esorcizzare la paura della morte.

1OFjtlkPaolo Sorrentino non fa sconti ai sentimenti misti di terrore e rassegnazione che incombono sugli uomini quando la fatidica clessidra non comunica più segnali incoraggianti, ma ha il potere di deviare l’attenzione degli spettatori da un’analisi asettica e oggettiva della relativa condizione (la vecchiaia esiste) alla percezione dei fenomeni complessi e contraddittori che la definiscono in maniera diversa presso i singoli individui.

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Paolo Sorrentino

Il suo talento è tale che l’impresa non appare mai persa in partenza, persino nel caso –come in “Youth – La giovinezza” che da ieri soddisfa l’immensa attesa suscitata dai trionfi di “La grande bellezza”- di un tema e un’ambientazione gravati da ciclopici precedenti soprattutto letterari e cinematografici. Dunque due vecchi signori amici riavvicinati dallo scenario rilassante e sconfinato delle Alpi, il direttore d’orchestra in pensione impersonato da Caine e il regista forse giunto alla sua ultima impresa che ha la grinta stemperata di saggezza di Keitel: sottoposti alle dolci e dure pratiche di un hotel termale di lusso, si confrontano su se stessi, sugli ospiti della spa, sui figli, sulle donne (la statua-Ghenea che gli si manifesta davvero come “Dio”), sul mestiere e sulle prospettive più terrorizzanti che imperscrutabili del prossimo futuro.

youth-la-giovinezza-6“Youth” è stato presentato come un piccolo film, ma in realtà è grande o quantomeno lo è per come espone alla massima potenza le caratteristiche autoriali di Sorrentino o, per capirci meglio, il suo modo d’affrontare il problema di “addomesticare la bestia”, cioè di venire a patti con la propria straordinaria bravura, di sottomettere alle esigenze della trama l’istinto della performance o l’esibizione d’energia creativa, per così dire, pura e autonoma.

SET DEL FILM "LA GIOVINEZZA" DI PAOLO SORRENTINO. FOTO DI GIANNI FIORITO

maxresdefaultCiò che provano, vedono, sperimentano e contrastano i due amici non ha, quindi, molte affinità, per esempio, con i serrati dibattiti etici innescati dai tre protagonisti principali di “La montagna incantata” (nonostante il diretto riferimento al sanatorio di Davos): per Sorrentino la rappresentazione, almeno in ambito filmico, vibra in perenne oscillazione tra “alto” e “basso” e le sensazioni che premono su Fred e Mick spingono il regista a concentrarsi, sia pure senza morbosità, ma con un surplus di stupefazione, proprio sul fisiologico, il materico, il deteriorato. Le aperture poetiche, suggerite dagli scenari pastorali, dall’incombere dello skyline crestato, dalla flessuosità di boschi e prati risultano, così, puntualmente moderate dalle apparizioni grottesche (un Maradona formato mongolfiera, una sinfonia di muggiti, gli incubi sotto forma di concerto metal) e dai tentativi di alcuni personaggi, come la figlia abbandonata su due piedi dal compagno, di riportare i vecchi alle loro responsabilità, a ciò che hanno seminato nei rapporti umani, ai patrimoni, peraltro non venali, che intendono lasciare.

youth-la-giovinezza-10962-560x394Il film, insomma, è riuscito e tiene stretta la sua ispirazione, ma nel bene e nel meno bene continua a seguire il metodo a strappi della clausola sorrentiniana: al di là dello splendido duetto tra i due dominatori dell’inquadratura Caine e Keitel, una visione ipnotica s’alterna, così, a un dialogo telefonato, una scossa rabbrividente a un trompe-l’oeil fotografico, un diapason virtuosistico all’aggiunta insistita di un aforisma da vitelloni felliniani o addirittura (soprattutto nello stridente cammeo della Fonda furiosa) all’invettiva contro il cinema che è diventata, grazie anche all’ultimo Moretti, un facile escamotage dei cineasti più incalliti. Il grande e appassionante problema del giovane e vincente concittadino risiede sempre, secondo noi, nella sua incredibile capacità di vedere sempre “oltre” la sequenza che sta girando e ci sta mostrando e quindi nella dose di auto-sarcasmo che ogni volta gli serve per non dover rischiare di volerla demolire nell’attimo seguente.

youth1Forse, senza volere interpretare la vieta parte del cinèfilo, la metafora del massaggio (che scandisce, per forza di cose, molti dei passaggi obbligati per i riottosi ex capibranco) si adatta allo spirito di “Youth”. L’occhio di Sorrentino massaggia in un certo senso l’enigma dello stare al mondo, persino nel momento di quella vecchiaia che secondo Philip Roth non è una battaglia, “bensì un massacro”; persino quando gli strenui quanto vani discorsi sull’importanza delle emozioni s’arrestano e dilaga a tutto schermo la sequenza regina del caos stordente di battute, musiche e personaggi che davanti al grande schermo della vita ci hanno reso tutti, grandi artisti e grandi mistificatori compresi, inutili comparse.

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