di Valerio Caprara
E’ “Gigolo’ per caso” il film di questa settimana recensito da Valerio Caprara. Un film diretto da Jhon Turturro ed interpretato dallo stesso Turturro, Woody Allen, Sharon Stone, Sofia Vergara. Un ménage à trois a pagamento contro la noia del trantran coniugale
E’ senz’altro di parte (maschile) dichiararlo, ma l’ottima e abbondante presenza di due attrici ad alta caratura sexy come Sharon Stone e Sofia Vergara già predispone al meglio. Aggiungendo, in chiave più professionale, che il versatile John Turturro sceneggia, dirige e interpreta e Woody Allen, benché ormai davvero vecchierello, torna a incarnare l’ineffabile personaggio idiosincratico e autosarcastico delle origini, se ne deduce subito come “Gigolò per caso” (“Fading Gigolo”) sia una commedia di classe e, nei limiti del suo minimalistico impianto narrativo, piacevole, rilassante e divertente.
Magari fa una certa impressione ascoltare la nuova voce italiana (Leo Gullotta) dell’antieroe generazionale di riferimento, ma quello che conta è che le battute si susseguano fluidamente e la colonna sonora faccia da armonico contrappunto come un tempo.
Ritornando a Sharon e Sofia, in effetti, lo spunto architettato da Turturro (pare) su resoconto autobiografico del suo barbiere, è essenzialmente quello di un uomo non bello, non ricco e non sfacciato che nell’odierna New York City (fotografata dal figlio di Gillo Pontecorvo, il valente Marco, nello stile cool e disinvolto del compianto Saul Leiter) si ritrova a essere pagato profumatamente per fare sesso con le suddette magnifiche signore di Park Avenue. Ed è proprio vero, insomma, che Allen è messo in condizione di rifare al meglio se stesso interpretando il canuto e logorroico Murray, libraio ebreo tradito dalla crisi del settore e dall’inaridimento consumistico che decide d’approfittare delle voglie libertine della sua dermatologa…
La dottoressa Parker, annoiata dal trantran coniugale e stuzzicata dall’altrettanto avvenente amica Selima, è disposta a pagare per un ménage à trois e Murray pensa subito a Fioravante, fiorista part time specializzato in composizioni giapponesi e angustiato da difficoltà economiche; non è facile convincere l’uomo bruttarello, stralunato e schivo, ma alla fine il dado è tratto: il secondo farà il prostituto d’alto bordo e il primo si trasformerà nel suo magnaccia. I primi test funzionano a mille e il progetto decolla con reiterati e festosi godimenti, almeno fino a quando non entra in scena come improbabile cliente la vedova (Vanessa Paradis, ex moglie di Depp) di un rabbino della fanatica comunità chassidica di Williamsburg a Brooklyn.
Ecco, così, che alle orgette negli appartamenti superlusso si sovrappone a poco a poco un sentimento casto, imploso, scandito da italiche melodie e dettato, però, dall’identica sindrome da solitudine che rischia di rendere ampi settori delle società opulente amorfi e depressi. Non accade molto di più in questa sorta di album di schizzi newyorkesi, quasi un bouquet, appunto, floreale basato sull’understatement di ritmo e caratteri che grazie a dio non si prende troppo sul serio e si affida, come abbiamo premesso, soprattutto ai dialoghi che restano il territorio d’elezione del genietto di Manhattan.