di Valerio Caprara
Questa settimana la scelta è caduta su un film d’impegno civile “il venditore di medicine” : regia di Antonio Morabito con Claudio Santamaria, Isabella Ferrari, Evita Ciri e Marco Travaglio.
Quanto è giusto. Com’è importante. Che visione aguzza. Alla fine dei commenti col segno positivo incorporato si apre, però, un fossato, quello che separa le buone intenzioni di regia e sceneggiatura da un buon film tout court. “Il venditore di medicine” è impostato, infatti, col piglio del cinema civile all’italiana, un occhio all’argomento, uno al ritmo e un altro al cast: peccato che nonostante tutti e tre gli elementi siano dignitosamente centrati, il valore complessivo e la forza d’impatto sul pubblico risultino in linea con quelli di un anonimo report tv di denuncia. Il perno di una trama in stile bignamino sulle malefatte delle case farmaceutiche e il malcostume della classe medica è l’”informatore” (sinonimo trendy di rappresentante) Bruno (Santamaria) che accudisce da anni con zelo un bel pacchetto di dottori disposti, in cambio di adeguati regali, a prescrivere anche senza autentica necessità i suoi farmaci ai propri pazienti.
La crescente crisi del settore lo mette, però, nei guai perché la spietata superiore (Ferrari) minaccia di licenziarlo se non sarà in grado d’incrementare l’abituale pratica corruttiva tecnicamente definita comparaggio.
Questo sin troppo tipizzato antieroe dei nostri tempi è, dunque, costretto a scendere la china dell’abiezione, passando in un orrido viavai da carnefice a vittima, da cinico dottor Tersilli di sordiana memoria a misera rotella di un ingranaggio ben più potente: quello, manco a dirlo, della Spectre liberista che deciderebbe le sorti di ‘sta sporca società (ringraziando Iddio che non segua la didascalia favorita di “berlusconiana”).
A luci riaccese si ritorna a casa con la coscienza ripulita, ma del ruggente pamphlet resta in mente quasi solo il giornalista Travaglio arrogante e disgustoso quanto basta nella parte del primario.