di Valerio Caprara
L’autogol del presidente della Biennale Paolo Baratta, autore di un comunicato che vanta il lancio in prima mondiale di “Birdman” alla Mostra di Venezia dimenticando d’aggiungere che pur essendo in concorso fu ridicolmente ignorato dalla giuria.
Viva “Birdman” e le sue quattro meritatissime statuette. Magari è banale sposare le scelte dell’Academy di quest’anno, ma non è possibile inventarsi polemiche quando non ce n’è un bisogno impellente. Cioè quasi sempre. Perché la soporifera maratona degli Oscar certifica il gusto medio delle sterminate corporazioni artistiche e tecniche della più grande fabbrica d’immaginario mondiale e va tenuta nel giusto conto, ma non è bello esaltarne i verdetti per irridere i dissidenti –come è avvenuto nel caso di “La grande bellezza”- né ritirare fuori la qualifica di “americanata” qualora i suddetti non ci siano andati a genio.
Stavolta quasi tutto era previsto e condivisibile, il film di Inarritu è superiore secondo noi ai principali competitors –dal raffinato falso d’epoca “Grand Budapest Hotel” allo sperimentale ed edificante “Boyhood” e al feroce duello tra maestro e allievo di “Whiplash” (recuperatelo assolutamente)- e non ci fanno rabbia, ma piuttosto stupiscono gli spettatori che si dichiarano indifferenti al suo formidabile ordito jazzato e sarcastico. In fondo se volessimo incrociare le armi dovremmo farlo con il presidente della Biennale Baratta, autore di un comunicato che vanta il lancio in prima mondiale di “Birdman” alla Mostra di Venezia dimenticando d’aggiungere che pur essendo in concorso fu ridicolmente ignorato dalla giuria.
Magari qualche dubbio sorge a proposito dei migliori attori protagonisti, ma si sa che a Hollywood le immedesimazioni nelle autentiche storie e autentici eroismi di malati e disabili sembrano concepite nell’immaginario laboratorio dei ruoli da Oscar. Così come non è un caso che il potente e avvincente “American Sniper”, preso di mira perché grettamente accusato d’essere bellicista e islamofobo, sia stato penalizzato già a partire dalle nomination: nell’occasione i plebisciti decretati dal pubblico contano molto meno del moralismo peloso che tende a favorire gli studios indipendenti, sfavorire i film su cui s’addensano ombre politicamente scorrette e a mettere in un angolo i blockbuster che hanno già messo al sicuro “volgari” montagne di dollari. Extra Usa emergono il magnifico e austero “Ida” (ma quanti votanti l’avranno davvero visto e amato?) e il sempiterno genio artigianale italiano: Benigni e Sorrentino tramandano gratifiche eccezionali, ma per fortuna ritrovare la costumista Canonero sul podio è un evento che non fa quasi notizia.