Valerio Caprara

Valerio Caprara

Professore di Storia e critica del cinema all’Università degli studi di Napoli “L’Orientale” e dal 1979 critico cinematografico del quotidiano “Il Mattino”. Presidente della Campania Film Commission.

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Il mio regno per un Cartone

di Valerio Caprara

 Nel Quartier Cerebrale di un’adolescente si inseguono i colori della vita: l’irrefrenabile brigata della gialla Gioia, la blu Tristezza, il verde Disgusto, la viola Paura e la rossa Rabbia. E grazie ad un amico immaginario nel geniale film di Pete Docter vengono approfonditi i tormenti dei teenager, un lungo itinerario scandito da mutazioni, reazioni, dolori e scoperte…

warm_memory_wide.0 Un film. Il nostro regno (tutta la Mostra di Venezia) per un film. “Inside Out”, non a caso definito “uno dei più bei titoli della Pixar” dal maggiore esperto italiano d’animazione Marcello Garofalo, è un capolavoro di ridotte quanto armoniche proporzioni, in realtà assai complesso, ma godibile a livello di bambino e adulto nonché basato su un’idea tanto forte e ardita da essere capace di sorprendere il geniale team degli autori allo stesso modo e nello stesso tempo in cui sorprenderà milioni di spettatori.

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In particolare Pete Docter, consolidato talento della factory di John Lasseter, si è ispirato per il suo esordio registico al passaggio tra infanzia e adolescenza della figlia, riuscendo nell’affatto scontata impresa di ambientare la trama pressoché interamente nella testa dell’undicenne Riley in procinto di cadere in balia dell’instabilità umorale connaturata all’età difficile.

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Se le emozioni restano le fondamenta del grattacielo cinematografico hollywoodiano, è in fondo logico che alle stesse vengano una buona volta consegnati ruoli in qualche modo realistici: così nell’incipit, installata nella cabina operativa del Quartier Cerebrale della protagonista, l’irrefrenabile brigata della gialla Gioia, la blu Tristezza, il verde Disgusto, la viola Paura e la rossa Rabbia sembra accontentarsi di garantire i migliori dosaggi per una paciosa crescita nella natia cittadina del Minnesota.

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Il trasferimento della famiglia nella frastornante metropoli San Francisco allontana le isole formative –dalle amicizie agli adorati sport sul ghiaccio- avviando Riley e l’amico immaginario Boing Boing lungo un itinerario scandito da mutazioni, reazioni, dolori e scoperte che, in barba all’ingannevole happy ending, trasforma con grazia crepuscolare alcune basiche nozioni psicoanalitiche sui tormenti dei teenager (ma non mancano i riferimenti a quanto s’agita convulsamente nell’inconscio dei genitori, di solito bistrattati nei titoli affini) in un universo autonomo, caustico e un pizzico moralistico, imperniato sul quel sofisticato blend avventuroso/fantastico che da Alice e le sue meraviglie discende fino a Disney e Disneyland, il cinema musical, horror e thrilling, l’innovatore Spielberg e naturalmente “Toy Story” capostipite della casa fondata nell’85 da Lasseter.

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Sfidando infine l’acribia degli esperti del ramo, anche l’animazione, i colori e il design ci sembrano all’altezza della posta in palio, di fatto assai delicata perché stavolta a interagire con l’eroina Pixar sono chiamati personaggi dalla struttura pour cause mutevole, imprevedibile e astratta.

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