Valerio Caprara

Valerio Caprara

Professore di Storia e critica del cinema all’Università degli studi di Napoli “L’Orientale” e dal 1979 critico cinematografico del quotidiano “Il Mattino”. Presidente della Campania Film Commission.

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Margherita e Sabrina, lei e lei

di Valerio Caprara

Il film di Maria sole Tognazzi interpretato da Margherita Buy e Sabrina Ferilli ( ci sono anche Domenico Diele e Enno Fantastichini) ha la necessità di sottolineare a ogni costo la normalissima normalità, per così dire, di una love story fra due donne: ma se tutto deve risultare stanco, flebile e scontato, perché mai ci si dovrebbe appassionare alle increspature del placido fiume di un borghesissimo tran tran quotidiano?

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Non è certo un buon segnale che si parli a destra e a manca di “Io e lei” soprattutto a proposito del tema (prego aggiungere per il buon peso l’aggettivo scottante): il lesbo-ménage di due signore benestanti e le contingenze disfunzionali della relativa vita di coppia. La Tognazzi, regista e cosceneggiatrice insieme alla Marciano e Cotroneo, punta forte sull’incontro/scontro tra due attrici che del resto sembrano nate per i ruoli, l’irrequieta, sempre un po’ spaesata e morettiana fino al midollo Buy (Federica) e la vigorosa, spontanea e ulteriormente maturata -tanto da eccellere anche nei sottotoni- Ferilli (Marina): succederà soltanto, peraltro, che la prima, orientata a mantenere una certa riservatezza e non ancora in grado d’accettare sino in fondo la propria natura, rincontri un uomo da cui si sentiva attratta mettendo in crisi le basi sorprendentemente fragili della pur quinquennale relazione.

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Non è difficile apprezzare, come premesso, le prove della Buy e la Ferilli, ma dal punto di vista della costruzione drammaturgica, delle soluzioni visive, dei ritmi emotivi e della vivacità narrativa ci ritroviamo in mano niente di più e qualcosina in meno di una commedia alla Nora Ephron trapiantata in habitat romanocentrico; penalizzata, però, proprio dall’impellente necessità di sottolineare a ogni costo la normalissima normalità, per così dire, di una love story che si presume percepita come sconveniente dalle greggi retrograde fuori e dentro la sala. Con il risultato d’inceppare il film stesso: se tutto, anche in considerazione dell’età dei personaggi conviventi, deve risultare stanco, flebile e scontato, perché mai ci si dovrebbe appassionare alle increspature del placido fiume di un borghesissimo tran tran quotidiano?

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Meglio non chiedersi, in effetti, come sarebbe stato promozionato l’identico canovaccio filmico se fosse stato incentrato su un maschio alfa (magari meno idiota di quelli chiamati in causa da Tognazzi & company) fedifrago che rientra nel domicilio coniugale al termine della scappatella con la troietta di turno. L’esilità dell’operazione, magari più elegante dei tanti melodrammi alla Mazzucco o Mazzantini strappati dal cinema italiano al borsino letterario midcult, non ha niente a che vedere, per intenderci, col sofferto autosarcasmo o lo stentoreo militantismo dell’affine filone americano e l’idea balzana di ricavare uno spazietto dove rendere omaggio con la macchietta del cameriere filippino al “Vizietto” di papà Ugo sembra rasentare l’autogol psicanalitico e cinefilo.

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