Valerio Caprara

Valerio Caprara

Professore di Storia e critica del cinema all’Università degli studi di Napoli “L’Orientale” e dal 1979 critico cinematografico del quotidiano “Il Mattino”. Presidente della Campania Film Commission.

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Anche il condominio ha un’anima

di Valerio Caprara

Il regista Benchetrit che con “il condominio dei cuori infranti “ ha adattato per lo schermo la propria autobiografia “Chroniques de l’asphalte” merita l’attenzione degli spettatori non cloroformizzati dalla marmellata di tanto presunto cinema d’essai: il realismo umanistico (più che banalmente “sociale”) del suo svolgimento risulta, infatti, filtrato da un clima di trasognata sospensione e raffinato sentimentalismo

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“Il condominio dei cuori infranti” compendia in tre storie e sei personaggi intrisi di tenerezza e humour temi contemporanei importanti, a cominciare dall’incomunicabilità in parte fronteggiata e in parte accentuata dai linguaggi pervasivi di cinema e tv.

Il regista Benchetrit che ha adattato per lo schermo la propria autobiografia “Chroniques de l’asphalte” merita, insomma, l’attenzione degli spettatori non cloroformizzati dalla marmellata di tanto presunto cinema d’essai: il realismo umanistico (più che banalmente “sociale”) del suo svolgimento risulta, infatti, filtrato da un clima di trasognata sospensione e raffinato sentimentalismo.

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La serie di ritratti bisex proposta agli spettatori comunica un fascino insinuante perché sorrisi, lacrime, apparizioni impossibili e derive dell’agire quotidiano si disseminano nella topografia labirintica di un condominio di banlieue dove tutto, invece, dovrebbe trasudare desolata prosaicità. Ecco, allora, un innamoramento precario che s’appropria dello struggente culto di “I ponti di Madison County”; un astronauta precipitato dalle stelle che si accuccia nel nido di una materna madame araba; l’attrice ormai appassita che recupera il fiore della sua arte grazie alla freschezza di un adolescente abbandonato a se stesso.

IL CONDOMINIO DEI CUORI INFRANTI

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La sorpresa più limpida di questo film che si può amare anche senza essere crociati dello standard “poetico e minimalistico” sta proprio nell’ossimoro registico di sapere dare densità alla rarefazione stilistica e di farla procedere con un filo di suspense. Ovviamente l’impianto regge perché gli attori, dalla Huppert alla Bruni Tedeschi, da Pitt al figlio del regista e della rimpianta e sfortunata Marie Trintignant Jules, sono completamente a loro agio nel trasformare quelle che potevano diventare vignette cinematografiche in anelli di scorrimento tra “verità” e “falsificazione”, nient’altro che la formula fondativa del cinema.

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