di Carmine Spadafora
Riviviamo la rocambolesca cattura di Michele Zagaria, “capastorta”, storico capo del clan dei Casalesi insieme a Francesco Schiavone, “Sandokan” e Antonio Iovine, ‘o “ninno”. L’urlo di gioia dei poliziotti…
L’ergastolano Michele Zagaria, “numero 1” del clan dei casalesi (con Francesco Schiavone “Sandokan” e Antonio Iovine (‘o ninno) è stato condannato ad altri 24 anni di carcere dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, per associazione per delinquere e estorsione. Con “capastorta” è stato condannato a 4 anni e 4 mesi anche il padre, Nicola e a 13 anni il boss, ex braccio destro di Zagaria, Massimo Di Caterino.
Per il sanguinario boss di Casapesenna da due anni e mezzo (da quando fu arrestato il 7 dicembre del 2011) è arrivata l’ora della resa dei conti e che certamente trascorrera’ il resto della sua vita in carcere. Attualmente è rinchiuso in una cella di Milano – Opera.
Nella memoria dei cronisti di nera resterà per sempre scolpito quel 7 dicembre quando gli agenti della Squadra mobile casertana, ammanettarono dopo 16 anni di caccia, il boss “capastorta”. Nel bunker ricavato sotto il pavimento della cucina della casa di un operaio, scesero una decina di poliziotti.
Era stato lo stesso capocamorra a manifestarsi agli investigatori, quando si accorse che quasi gli mancava l’aria. Per stanarlo la polizia fece ‘tagliare’ l’energia elettrica a mezzo paese, impedendo cosi ai condizionatori d’aria impiantati nel suo rifugio di poter funzionare. “Basta, non sfondate sono qui. Mi arrendo” urlò Zagaria dal sottosuolo, sentendo che iniziava a mancargli il respiro ma anche il “picchiare” dei martelli pneumatici sul pavimento.
Ironia della sorte, il suo gregario più fidato, Massimo Di Caterino, con lui condannato per le estorsioni a imprenditori casertani, era stato arrestato in una abitazione di Francolise, (Caserta). Presagio di una decapitazione della cosca di Casal di Principe ormai imminente. Infatti, furono memorabili per gli uomini e le donne anticamorra della Direzione distrettuale antimafia, della squadra mobile e del comando provinciale dei carabinieri. La felicità di tutti i protagonisti di queste vittorie sulla malavita organizzata, si leggeva nei loro occhi. E anche se rischiare la vita per prendere un camorrista, non avrebbe portato benefici ai loro esigui stipendi erano felici lo stesso. C’era infatti, la consapevolezza di avere fatto qualcosa di molto importante per i cittadini.
Indimenticabile per i cronisti resterà quella sfilata che sembrava interminabile delle auto “civetta” che uscivano da Casapesenna per raggiungere la Questura di Caserta. A bordo c’era il criminale che per 16 anni avevano sognato di ammanettare. Anche i cronisti che pure ne avevano viste e raccontate tante, restarono emozionati dinanzi a quel corteo di auto: potenti Alfa, Bmw ma, anche vetture sgangherate e insicure che pure avevano fatto la loro parte per pedinamenti e appostamenti. Una cinquantina di vetture con i lampeggianti e i fari accesi e qualcuna a sirene spiegate ma non solo per arrivare al più presto alle camere di sicurezza ma, anche per esprimere tutta la felicità di un Corpo, che quest’anno ha compiuto 162 anni di vita. Qualche poliziotto aveva le braccia fuori dal finestrino, qualcun altro salutava i passanti che applaudivano. Timidamente, ma applaudivano. Alcuni degli agenti seduti in quelle auto erano già stati protagonisti di un altro arresto eccellente: quello dell’altro boss dei casalesi, Antonio Iovine, preso dalla squadra mobile di Napoli e Caserta undici mesi prima a Casal di Principe, la capitale di “gomorra”.
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