Carmine Spadafora

Carmine Spadafora

Giornalista, da 24 anni lavora con "il Giornale". Ha lavorato anche con "il Giornale di Napoli " ed "il Roma"

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Prima Pagina in sala stampa

di Carmine Spadafora

La Sala stampa della Questura di Napoli. Prima o poi ci sono passati tutti i giornalisti napoletani. Un passaggio obbligato. Personaggi, storie, aneddoti. Grandi storie di cronaca nera e routine giornaliera. Come nasce una notizia.

Arrivai nella sala stampa della Questura di Napoli il primo aprile del 1987. Da un mese ero stato assunto come praticante a “il Giornale di Napoli”. Un piccolo ma, grande giornale. Con un grande direttore (e fondatore), Orazio Mazzoni, giornalista di razza e scopritore di talenti. C’era un grande giornalista nella redazione – garage di via delle Fiorentine a Chiaia, per me un maestro di vita, non solo di giornalismo e di giudiziaria: Salvatore Maffei. Con lui a pochi passi, – io in Questura – lui nella sala stampa corrispondenti alle Poste centrali, mi sentivo “protetto”.

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Matteo Cinque

 

Quando arrivai in questura il capo della squadra mobile era Matteo Cinque. Il capo della squadra mobile, soprattutto in una città come Napoli è il principale referente per ogni cronista. Cinque, godeva fama di grande poliziotto. Un uomo chiuso ma di grande umanità. Mi ambientai subito in Questura: lavorare a stretto contatto con chi “viveva” la città giorno e notte, mi affascinava. Avrei imparato qualcosa. Per il mio lavoro ma anche per acquisire una forte esperienza di vita. Colleghi più anziani mi ripetevano spesso che, sei mesi almeno, in Questura, qualunque cronista avrebbe dovuto farli nel corso della propria vita professionale. Per qualcun altro, invece, la “sala stampa” al piano ammezzato di via Guantai era una punizione. Per me era soprattutto una inesauribile fonte di notizie. Quando ne uscii sei anni e mezzo più tardi, ero consapevole che quella fucina mi aveva insegnato un po’ di mestiere e donato anche, decine, forse centinaia di rapporti umani preziosissimi, molti dei quali, ancora li conservo.

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Non mi aspettavo di trovare nello storico Palazzo bianco in travertino, sceriffi o i “protagonisti” di tanti filmetti anni Settanta. Non ero prevenuto e non ero affatto convinto di sapere in quale ambiente fossi finito ma a distanza di anni ho capito che c’erano soprattutto uomini intelligenti, che facevano lavorare il cervello, coraggiosi r disposti a qualsiasi tipo di sacrificio.

Generale di Corpo d'Armata dei Carabinieri. LEONARDO LESO

Il generale di corpo d’armata dei carabinieri Leonardo Leso

C’era la simpatia verso un corpo che stimavo da sempre. Quando parlo di ambiente, non mi riferisco solo a quello dei poliziotti ma anche ai carabinieri. L’Arma era vicina. A poche centinaia di metri dalla Questura, in via Morgantini, nella bella e storica sede dell’allora Gruppo Napoli 1, poi divenuto nel tempo il Comando provinciale di Napoli. Conobbi subito due uomini che ancora oggi ricordo con nostalgia e affetto. L’allora capitano Leonardo Leso e il maggiore Rocco Paglialunga. Due uomini anticamorra, due baluardi dello Stato. Uno Stato pulito e presente, amato dagli italiani perbene.

Francesco Di Ruberto

Francesco Di Ruberto

Dietro la mia scrivania della sala stampa, ingresso via guantai, ci stavo poco. Mi piaceva gironzolare nei corridoi della Mobile. Tra le varie sezioni. Conoscere agenti, stringere amicizie. Conobbi Matteo Cinque poi promosso a soli 46 anni, Questore, uno dei più giovani nella storia della polizia di Stato. Conobbi subito un commissario corpulento, molto amato dai suoi poliziotti. Con questo funzionario, Francesco Di Ruberto, che all’epoca dirigeva i “falchi”e la Sezione Buoncostume la simpatia fu immediata e reciproca. Avevamo qualcosa in comune di molto importante. Eh si, era l’Inter il nostro collante. Ce n’era anche un altro, con la stessa passione mia e di Di Ruberto, l’attuale questore di Crotone, Luigi Botte, poliziotto di frontiera.

Matteo Cinque compose una squadra di giovani funzionari. Combattivi e stakanovisti, che trovavi anche oltre, ben oltre, l’orario di lavoro. Davano il buon esempio ai loro poliziotti. Funzionari umili che apprendevano i segreti del mestiere dai poliziotti più esperti. All’epoca la sala stampa della Questura era abitata stabilmente da quattro giornalisti: il capo dei cronisti, Egidio Del Vecchio per il Mattino e il collega Maurizio Cerino dello stesso giornale, mentre a rappresentare il Giornale di Napoli c’eravamo io e Michele Giordano, più esperto di me di un paio di anni.

  ( 1.continua )

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