Valerio Caprara

Valerio Caprara

Professore di Storia e critica del cinema all’Università degli studi di Napoli “L’Orientale” e dal 1979 critico cinematografico del quotidiano “Il Mattino”. Presidente della Campania Film Commission.

Jersey-Boys

The Four Seasons
e l’adrenalina di Clint

 di Valerio Caprara

Nonostante la barba sbarazzina, il fisico asciutto e la nuova e giovane compagna, infatti, Clinton Eastwood Jr. è nato nel maggio del 1930 a San Francisco: un’anagrafe impietosa che non smette, peraltro, di fornirgli l’adrenalina necessaria per portare a termine un film dopo l’altro e confermarsi uno degli ultimi alfieri del cinema-cinema.

 Non la facciamo lunga sui mondiali di calcio che starebbero influendo sugli incassi perché le cause della crisi sono multiple e complesse; dispiace, però, che esca in una situazione di mercato spenta “Jersey Boys”, un film tanto accurato e raffinato quanto bisognoso –soprattutto per gli under 50- di corredo informativo e incentivi critici. Senza contare la motivazione che si spera non sia solo personale e cioè quella che sarebbe indecente non amarne con tutto il cuore il regista…

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Nonostante la barba sbarazzina, il fisico asciutto e la nuova e giovane compagna, infatti, Clinton Eastwood Jr. è nato nel maggio del 1930 a San Francisco: un’anagrafe impietosa che non smette, peraltro, di fornirgli l’adrenalina necessaria per portare a termine un film dopo l’altro e confermarsi uno degli ultimi alfieri del cinema-cinema.

Coraggioso come non lo sono tanti colleghi miracolati dai media, Clint si cimenta per la prima volta con un musical realizzando la non facile trasposizione sullo schermo dell’omonimo, pluripremiato spettacolo -in scena da dieci anni prima a Broadway e poi a Londra- che rielabora storia e leggenda di Frankie Valli e i The Four Seasons, forse la band più amata dell’apogeo pop degli anni 50 e 60 pre-invasione britannica.

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Una scommessa vinta alla grande, specie se si pensa come in partenza non si sarebbe potuto immaginare una differenza più marcata di quella esistente tra un accanito cultore del jazz West Coast o del country blues e il sound romantico-rock scandito dal falsetto del solista che lanciò hit cruciali anche per il costume e lo spirito nazionali come “Sherry”, “Big Girls Don’t Cry”, “Walk Like a Man” o “Can’t Take My Eyes Off You”.

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Se “Jersey Boys” non contempla né lo scatto creativo di un Bob Fosse né l’esasperato dinamismo della generazione videoclip, è entusiasmante, però, ritrovarci i cardini di temi eastwoodiani per eccellenza come il declino del senso di comunità in un’enclave operaia e soprattutto la lunga strada da percorrere e il pesante prezzo da pagare per raggiungere il successo e, quindi, il calore emotivo e drammatico (anche autobiografico, attenti all’apparizione su un vetusto teleschermo dell’imberbe protagonista della mitica serie western “Rawhide”) che non poteva tracimare dal brio dello showbiz originale tratto dallo script del duo Elice/Brickman.

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L’interesse di regia è concentrato, non a caso, anche sulle personalità contraddittorie e certo non liliali dei quattro ragazzacci italoamericani del New Jersey che rievocano gli anni tumultuosi del loro sodalizio rivolgendo a turno la parola in macchina e dando allo spettatore ciascuno la sua versione un po’ ammiccando a “Rashomon”. Gli attori, in effetti, -dal formidabile Lloyd Young (Frankie) allo sfrontato Piazza (Tommy)- sono il valore aggiunto del film al quale la mano di Clint conferisce una vigorosa e precisa classicità narrativa, magari un po’ dilungata e documentaristica in certi passaggi, ma in compenso capace di tenere insieme un virtuosistico mix tra “American Graffiti” -con tanto di appendice coreografata in stile “Grease”- e “Mean Streets”.

Su questo versante, per esempio, è il segno di una classe superiore il tratteggio del bizzarro rapporto istituito dalla band con il bonario ma inquietante padrino del quartiere cesellato dal magnifico veterano Christopher Walken.

 

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