Valerio Caprara

Valerio Caprara

Professore di Storia e critica del cinema all’Università degli studi di Napoli “L’Orientale” e dal 1979 critico cinematografico del quotidiano “Il Mattino”. Presidente della Campania Film Commission.

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L’irresistibile fascino del male

di Valerio Caprara

“Sicario” di Denis Villeneuve (con Emily Blun, Josh Brolin e Benicio Del Toro) inanella senza preoccuparsi di titillare il piacere proibito del manierismo inquadrature e sequenze efferate e non di rado horror, con tanto di teste mozzate e cadaveri murati

 

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Chissà se a Ciudad Juarez, assai meno bella ma ben più violenta di Napoli, siano in corso proteste o scattati anatemi per l’ennesimo “colpo proditorio” inferto dal cinema alla sua immagine. In ogni caso la città frontaliera messicana, già scenario privilegiato di film, serie tv e documentari, anche in “Sicario” dell’emergente regista canadese Villeneuve e dello sceneggiatore Sheridan incarna il fulcro di un intreccio criminale ad altissimo voltaggio che, sia pure muovendosi sui binari supercollaudati del genere, concede al pubblico la chance di appassionarsi sia ai picchi adrenalinici, sia ai minacciosi malesseri sottintesi.

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Ignorato dalla giuria di Cannes 2015 (ma è già molto che l’avessero ammesso in concorso), il thriller intreccia saldi rapporti con le atmosfere care a noti giallisti, dal sopravvalutato Elmore Leonard al grande Don Winslow di “Il potere del cane”, nonché riprende il taglio di brutalità senza riscatto che da “Voglio la testa di Garcia” di Peckinpah arriva sino a “Non è un paese per vecchi” dei Coen. Insomma i cartelli della droga esistono, la loro ferocia è agghiacciante e le connessioni politiche, finanziarie e poliziesche con il confinante moloch statunitense risultano, ancorché spesso fallimentari, oggi più che mai evidenti; però la densità narrativa e l’equilibrio drammaturgico non cercano conforto in questi dati risaputi, bensì nella forza dello stile capace d’insediarsi in quella zona perturbante e metaforica che incarna una delle peculiarità del linguaggio cinematografico.

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Certo non dissimile da quella in cui cresceva il disagio della protagonista di “Zero Dark Thirty” sull’eliminazione di bin Laden, considerando che anche in questo caso primeggia un’eroina triste, l’ottima Blunt nel ruolo dell’agente Fbi Kate inizialmente aggregata alla squadra dei colleghi Cia Matt e Alejandro -alias il roccioso Brolin e il mellifluo Del Toro- e poi via via invischiata in una sorta di gioco auto-manipolatorio sul fronte della legge a tratti indistinguibile da quello dietro cui s’annidano i narcos. Personaggi replicati eppure vigorosi, nutriti d’illusioni eppure realistici, dubbiosi eppure decisi ad andare sino in fondo, compromessi eppure a loro modo ingenui…

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Grazie ai virtuosismi di una star della fotografia come Deakins e del tonitruante musicista Johannson, particolarmente efficaci nei momenti meno ingolfati dall’azione e attenti al dettaglio (per esempio quando i soldati sfilano accingendosi dell’attacco), “Sicario” inanella senza preoccuparsi di titillare il piacere proibito del manierismo inquadrature e sequenze efferate e non di rado horror, con tanto di teste mozzate e cadaveri murati che hanno il compito di ribadire per l’ennesima volta come nella fiction, piaccia o non piaccia, il Male affascini voyeuristicamente e psicologicamente molto di più del Bene.

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