di Valerio Caprara
Ammiratori della prima ora di Checco Zalone, ne abbiamo accompagnato la sgangherata ma vittoriosa cavalcata contro la deriva della farsa all’italiana; abbiamo colto il suo grido di dolore per l’ennesima frattura creatasi tra intellettuali e masse popolari; addestrati dal revival di Totò, ci siamo arruolati sotto le insegne della vitalità e della voracità nelle fila del suo esercito in marcia contro depressi, narcisi ed impegnati
“Ma davvero se lo merita?”. Che razza di domanda. Proprio quando i resti dell’esercito radical-chic rivedono in disordine e senza speranza i giudizi che avevano stilato con orgogliosa sicurezza, c’è qualcuno che vorrebbe il critico col ditino alzato e in mano il breviario del cinema d’autore, meglio se intento a fare le pulci ai fotogrammi di “Quo Vado?” mentre gli risuona nelle orecchie una specie di lunghissimo pernacchio zeppo di cifre da-non-credere: sette milioni in un giorno solo, oltre un milione di biglietti già venduti, polverizzati i record dei migliori incassi nelle prime ventiquattr’ore, sbaragliati –ancorché grazie anche al doping di 1300 copie sganciate sul mercato- specialisti dell’esordio devastante come Harry Potter, Spiderman, Star Wars nonché lo stesso Checco signore e padrone di Zalonia. Il quale, peraltro, ci ha già dedicato l’epitaffio: “Mi auguro che qualcuno vi legga. Non per demoralizzarvi, ma la Rete confonde tutto, intelligenti e cretini, per il pubblico non c’è differenza”.
Per esorcizzare la nefasta profezia potremmo esibire le credenziali giuste. Ammiratori della prima ora del tamarro con cervello, ne abbiamo accompagnato la sgangherata ma vittoriosa cavalcata contro la deriva della farsa all’italiana; scontata la cambiale dell’età d’oro del cinepanettone, abbiamo colto il suo grido di dolore per l’ennesima frattura creatasi tra intellettuali e masse popolari; addestrati dal revival di Totò, ci siamo arruolati sotto le insegne della vitalità e della voracità nelle fila del suo esercito in marcia contro depressi, narcisi ed impegnati; stanchi dei registi che hanno tradito la freschezza dell’attimo fuggente vanziniano e delle “Vacanze di Natale” anni Ottanta, abbiamo scovato i semi dell’intelligenza nel curriculum del suo regista e complice Nunziante; togliendoci la puzza d’arte e d’essai sotto il naso, abbiamo sposato le leggende del suo produttore Valsecchi, un De Laurentiis reso ancora più grintoso e cipiglioso da una gavetta deamicisiana nonché miracolato dalle dritte del figlio adolescente proto-zaloniano; avvinti al totem del cinismo purificatore alla Fantozzi, ci siamo messi di buzzo buono a separare il grano dello Jerry Lewis di Capurso dal loglio dei politicanti rimasti disoccupati all’exit berlusconiano.
In ogni caso “Zalone Arriva!”. Sprezzanti del pericolo di essere subissati dai numeri trionfali che s’addensano all’orizzonte come uno tsunami (tra i clap clap di tutta la tribù di Cinelandia, compresi coloro che ora fingono schifo o noncuranza) e di essere presi per il culo da una sua fulminea smorfia demenziale, ci sentiamo per quanto premesso autorizzati petto in fuori a dichiarare che “Quo Vado?” qualche toppa l’esibisce nel suo vestito filmico più lucido e aggiustato. La prima parte vola (a partire dal flash barzellettiero della tribù africana, chissà se insorgeranno i progressisti tarantolati), la seconda traccheggia un po’ troppo e il finale dal super modello Simpson sembra scendere a quello col cuore sciolto in mano alla Covatta.
Meno male che l’italiano tutto mediocrità, spirito di sopravvivenza, maschilismo e celentanianamente demenziale si mette a canticchiare “La prima repubblica”, così la trasgressione torna subito a livelli salutari. L’avatar di Checco non sarà più tacciato di essere di destra, ma continuerà a essere indigesto alla sinistra: gli auguriamo, però, di tutto cuore di non essere trasbordato nel pantheon vintage alla democristiana.