di Valerio Caprara
Considero “Lo chiamavano Jeeg Robot” uno dei film italiani più innovativi, intelligenti, entusiasmanti degli ultimi anni. Attori superbamente in parte, la crudezza noir che si mescola al romanticismo dei folli e dei criminali; la fanta-spavalderia dei manga giapponesi che s’integra nel desolato cinismo della Roma contemporanea e delle sue borgate
Gabriele Mainetti, classe 1976, supportato amici-complici sceneggiatori Guaglianone e Marchionni, vi mette in scena infatti l’epifania di un supereroe suo malgrado, Enzo Ceccotti da Tor Bella Monaca, che ha il merito di scuotere il mesto trantran del cinema italiano di lotta e di governo ovvero da botteghino e da festival.
Attori superbamente in parte, la crudezza noir che si mescola al romanticismo dei folli e dei criminali; la fanta-spavalderia dei manga giapponesi che s’integra nel desolato cinismo della Roma contemporanea e delle sue borgate.
Claudio Santamaria indimenticabile, Luca Marinelli degno dei più sinistri e diabolici killer americani, Ilenia Pastorelli che aggiorna l’innocenza stuprata degli emarginati pasoliniani.
Altro che polpettoni Rai e Mediaset. Altro che commedie grondanti didascalie stereotipate. Altro che sociologie pelose esibite come lasciapassare. Scrittura, ambientazioni, effetti speciali perfettamente coesi, invece, nell’assicurare una sniffata di puro cinema che non si e ti concede un minuto di pausa….
Corri ragazzo laggiù/vola tra lampi di blu/corri in aiuto di tutta la gente/dell’umanità