Valerio Caprara

Valerio Caprara

Professore di Storia e critica del cinema all’Università degli studi di Napoli “L’Orientale” e dal 1979 critico cinematografico del quotidiano “Il Mattino”. Presidente della Campania Film Commission.

confessioni

San Francesco e la turbofinanza

di Valerio Caprara

Servillo, la cui magica percezione del testo non ha rivali sul palcoscenico, paga in questo film il prezzo richiesto da un cinema che a un certo punto sembra accontentarsi di procedere in bilico sugli aforismi, le frasi fatte e le citazioni a effetto

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Roberto Andò è dotato di una classe indiscutibile di regia e il congegno messo in moto dall’impostazione di “Le confessioni” inizialmente lo conferma.

Circola una rarefatta atmosfera polanskiana, in effetti, nel gioco delle angolature di ripresa e dei piani alternati delle inquadrature che definiscono lo scenario del film co-sceneggiato con Angelo Pasquini: un lussuoso hotel sulle sponde tedesche del Baltico in cui si sta allestendo il rigido protocollo di un imminente G8.

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L’approccio stilistico sembra rendere, in effetti, plausibile l’originalità dello spunto narrativo basato sull’invito che il direttore del Fondo Monetario Internazionale (Auteuil) ha recapitato a una scrittrice di bestseller per bambini, una rockstar aderente a una onlus umanitaria e l’enigmatico monaco Salus votato alla povertà e al silenzio (Servillo) affinché partecipino ai lavori assistendo al meeting tra i gestori dell’economia occidentale.

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Finché il film prima aderisce al finto equilibrio raggiunto da personalità così onnipotenti e poi inizia a vacillare in seguito al tragico evento che innesca un’aspra battaglia sulla custodia da parte di Salus del segreto di un’imprevedibile confessione, lo spettatore è messo in grado di apprezzare l’armonia della claustrofobica partitura; anche se bisogna precisare che gran parte del suddetto effetto discende dalla versione multilingue in cui (al contrario di quanto succederà nella versione appiattita dal doppiaggio) funziona un vero e proprio sistema tonale. Il corpo “sonoro” dei dialoghi –da applausi, in particolare, quello in francese tra Auteuil e Servillo- produce in pratica una serie di altri suoni concomitanti che connettono gli elementi e il senso dell’apologo.

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Purtroppo, però, a poco a poco l’intreccio mystery –che a un certo punto costeggia l’angosciosa sospensione tra reale e metafisico di “Una pura formalità”- non basta più a se stesso e servendosi della temeraria identificazione di Salus con un nuovo San Francesco (registra al magnetofono i versi degli uccellini e ammansisce il cagnaccio del più losco dei ministri) spalanca la porta a una sequela di metafore di un imbarazzante semplicismo etico-politico.

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I ministri degli otto paesi democratici costituiscono una sorta di bondiana Spectre, la manovra che si accingono a varare non è nient’altro che una mannaia approntata per i poveri e i deboli, la piacente canadese e il russo putiniano si concedono a riprovevoli piaceri di letto, il tedesco è una sorta di SS che gode nel torturare la povera ma onesta cicala ellenica e a muovere tutti i fili, manco a dirlo, sono i burattinai americani asserragliati nei loro imperialistici grattacieli.

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Ogni scatto emotivo risulta troncato e la staticità del ritmo non riesce più a rammendare i buchi di sceneggiatura che sembrano rimandare alle teorie del complotto descritte da Umberto Eco in “Il pendolo di Foucault”. Persino Servillo, la cui magica percezione del testo non ha rivali sul palcoscenico, paga in questo caso il prezzo richiesto da un cinema che a un certo punto sembra accontentarsi di procedere in bilico sugli aforismi, le frasi fatte e le citazioni a effetto.

 

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