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De Sica si giocò tutto
Vinse solo al tavolo dell’arte

 di Pietro Gargano

Centotredici anni fa nasceva a Frosinone Vittorio De Sica da padre sardo e madre romana. Ma De Sica amava sottolineare “che nu cafone ‘e fora – come lui si definiva – può amare Napoli più di un napoletano”.  Più volte pensò di prendere casa a Posillipo di stare a Napoli. La città che amava più di tutte.


Il suo era un amore che veniva da lontano. Molto da lontano.
De Sica si trasferì in tenera età a Napoli con la famiglia, tutt’altro che benestante, anzi di “tragica e aristocratica povertà”, secondo la sua stessa definizione. Quando divenne famoso, favoleggiò sugli anni dell’infanzia e attribuì l’esordio da cantante a un’epidemia di colera.
Era il 1911, le autorità proibirono perfino di mangiare i fichi, ma la madre non esitò a procurarsene, perché costavano poco. Durante gli acquisti dagli ambulanti, il piccolo Vittorio fungeva da palo per dare l’allarme all’arrivo della legge. Quando si profilarono due carabinieri, intonò Torna a Surriento. Ai militi piacque, “bravo, guagliò, vai avanti”. Interpretò tutto il repertorio napoletano a lui noto e i fichi furono salvi.

Di Vittorio De Sica attore e regista si sa tutto. Meno nota è la sua frequentazione della canzone napoletana, che lo portò a incidere dischi (‘O mese d’ ‘e rrose, Munastiero ‘e Santa Chiara) e addirittura a partecipare a un Festival, in veste di paroliere. La sua Dimme che tuorne a mme!, musicata dal figlio Manuel, nel 1967 fu interpretata da Nunzio Gallo e da Luciano Tomei. Disse Dino Falconi, autore di riviste: “Nessuno meglio di me può assicurare che Vittorio De Sica cantava come soltanto un napoletano sa cantare”. Nella maturità, incise Signorinella di Bovio. Fece in tv un duetto con Mina in A marzo quando piove. Per la collana Raccolta o Recital dedicò album a Di Giacomo, Ernesto Murolo, Galdieri, in cui interpretava canzoni e recitava poesie. L’ultima incisione avvenne nel 1971: De Sica anni Trenta, realizzata con il figlio Manuel.

 Vittorio De Sica era innamorato di Ischia e di Capri. Nelle isole del sogno girò film, passò periodi di spensieratezza. Gli ischitani non hanno dimenticato i suoi abiti immacolati, il suo panama, quando girò Vacanze a Ischia di Mario Camerini, accanto alla bella Myriam Bru, di cui il produttore Angelo Rizzoli era innamorato perso. I capresi non hanno dimenticato la sua eleganza e la ironia, sul set con Sofia Loren e in guizzi di villeggiatura. Ma Ischia e Capri non avevano un casinò. Così De Sica elesse seconda patria il principato di Montecarlo, altro mare, ben diverse emozioni. Accettò perfino di girare un film – Montecarlo, appunto, del 1956 – in cui recitò il quasi autobiografico ruolo del conte Dino Giocondo della Fiaba. Incarnò un patrizio che aveva perso tutto alla roulette e cercava con squinternati amici il sistema di far saltare il banco.
Non solo per bisogno di guadagno, De Sica accettava ogni film il cui set era dalle parti di un casinò. Dopo aver perso, si congedava con classe, baciava la mano alle dame e lasciava persino una mancia al croupier. Ripeteva: “Il vero signore lo si vede al tavolo da gioco”. Lo disse anche ad Alberto Sord in Il conte Max: “Il vero giocatore deve essere freddo, impassibile, distaccato”.
Nel 1963 ebbe il periodo più nero e se ne dolse scrivendo alla figlia Emi. Doveva pagare un debito al gioco di tre milioni e Dino De Laurentiis non gli aveva ancora pagato tre milioni di cachet. Concluse: “Farò, forse, una puntatina a Cava de’ Tirreni, dove c’è un circolo”. Il vero giocatore è un gran signore e vuola rifarsi.
Aveva cominciato a giocare al tempo dei telefoni bianchi, si era fermato all’epoca del neorealismo, riprese negli anni Cinquanta, quando guadagnava anche un milione al giorno. In Il generale Della Rovere, Roberto Rossellini gli fece dire: “Sai qual è la fonte di tutti i miei guai? Il gioco. Perdo sempre”. Ma la partita dell’arte la vinse largamente.

 

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