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La leggenda di malaffemena

di Pietro Gargano

“Femmena, tu sì ‘na malafemmena, cu st’uocchie ‘e fatto chiagnere lacreme ‘e infamità … ”

Liliana Castagnola, bellissima, si diceva chanteuse, non sciantosa, per marchio di classe ma anche perché era spuntata dopo il periodo d’oro del café-chantant. Aveva visto la luce a San Martino presso Genova l’11 marzo 1895.

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Liliana Costagliola

Girò l’Europa meritandosi la fama di donna fatale corteggiata da regnanti, ministri, industriali, patrizi. A Marsiglia due marinai si sfidarono in duello rusticano per lei, uno morì. A Montecatini fu ferita da un amante geloso che le sparò due colpi di pistola e si uccise. Un principe veneto sperperò per lei un patrimonio e fu interdetto dalla famiglia. Liliana alimentò la fama di splendore a Napoli, stagione 1929 al Teatro Santa Lucia. La sera del 12 dicembre di quell’anno, sera di riposo, andò a vedere al Nuovo lo spettacolo di Totò, principe di Bisanzio e del sorriso.
L’attore la notò nel pubblico – come poteva non notarla? – e la mattina dopo le inviò un fascio di fiori con un bigliettino di tono solenne: “E’ col profumo di queste rose che vi esprimo tutta la mia ammirazione”. Lei rispose: “Vi ringrazio, gentile signore, delle belle rose che ho gradito con molto piacere. Intanto, suppongo che non dimentichiate che dopo un certo numero di giorni queste meravigliose rose appassiranno e che, di conseguenza, occorrerà sostituirle con altri fiori”. Era un sì. Si innamorarono. Fu una relazione tempestosa, pure se Liliana si dedicò totalmente all’attore napoletano. Ciò nonostante a Totò arrivavano lettere perfide e senza firma che lo ammonivano a diffidare di quella donna.
Pur di restare insieme, la cantante propose a Totò una nuova scrittura, insieme, al Teatro Nuovo. Il principe, forse stanco delle voci malevoli, oppresso dalla gelosia o chi sa perché, rifiutò e decise di partire con la Compagnia Cabiria per il nord.
Fu il colpo decisivo, si assommò ai rimorsi per una vita troppo veloce, per le paure causate dalle rughe che, allora, sfregiavano la beltà al sorpasso dei trent’anni. Si rividero, passarono parte della notte del 31 marzo 1931 vagando per Napoli in una vettura pubblica. Parlarono senza capirsi.
Liliana forse si convinse che fosse spuntata un’altra, magari più bella di lei, di certo più giovane. Rientrata nella camera della pensione per artisti “Ida Rosa”, in via Sedil di Porto, si uccise, lasciando sul comodino un tubetto di barbiturici vuoto. Sul luogo del suicidio la polizia trovò una lettera di Liliana a Totò: “Antonio, potrai scrivere a mia sorella Gina per tutta la roba che lascio in questa pensione. Meglio che se la goda Gina anziché chi mai mi ha voluto bene. Perché non sei venuto a salutarmi per l’ultima volta? Scortese, omaccio! Mi hai fatto felice o infelice? Non so. In questo momento mi trema la mano … Ah, se mi fossi vicino! Mi salveresti, è vero? Antonio, sono calma come non mai. Grazie del sorriso che hai saputo dare alla mia vita grigia e disgraziata. Non guarderò più nessuno … Te lo prometto. Avevo giurato e mantengo. Stasera, rientrando, un gattaccio nero mi è passato dinanzi, mentre scrivo un altro gatto nero, giù nella strada, miagola in continuazione. Che stupida coincidenza, è vero? … Liliana”.

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Diana Roncagli e Totò

Il rimorso perseguitò Totò. Fece seppellire la donna nella tomba di famiglia dei de Curtis a Napoli e volle chiamare Liliana la figlia nata dal matrimonio con Diana Roncagli, anch’ella bellissima. E fu la fine di quest’ultimo legame a far nascere altre pene e una canzone diventata famosa.
Era il 1951, Totò aveva appena smesso di far ridere sul set di Formia, dove girava una parodia del “Terzo uomo”. Ma lo agitavano pensieri neri, di gelosia impotente. Bevve un caffè, accese una sigaretta e, proprio sulla scatoletta di “Turmac” bianche, riversò l’amaro che gli premeva dentro: “Femmena, tu sì ‘na malafemmena, cu st’uocchie ‘e fatto chiagnere lacreme ‘e infamità … ”
Si era sfogato e quelle parole gli piacevano. Rientrando in albergo, le lesse d’un fiato all’autista Salvatore Cafiero, devoto e sincero, primo esaminatore dei suoi versi. “Maestà, a me me pare ‘na lagna” replicò Salvatore. Si sbagliava.
L’invettiva diventò presto canzone, ufficialmente vestita di note dallo stesso Totò. Nel 1951 Mario Abbate la lanciò nel fragore di Piedigrotta, Giacomo Rondinella la riprese. Quando il successo divenne evidente, l’autista fu forzato a cantare “Malafemmena” nel ristorante “Giacomino”, a poca distanza dal San Carlo, al cospetto di Eduardo De Filippo, Sofia Loren, Vittorio De Sica e Paolo Stoppa, gli altri protagonisti di un film con il principe della risata.

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Silvana Pampanini

Chi fu la malafemmena del bene e dell’odio di Totò? “Io”, disse Silvana Pampanini, “maggiorata fisica” degli anni affamati del dopoguerra, quando era fatta di tanta carne pure la fame d’amore. Silvana si vantò, con orgoglio e discutibile gusto, di avere respinto la corte del grande attore sussurrandogli: “Sì, vi voglio bene: ma come a un padre”.
Più tardi aggiunse, con maggiore prudenza: “Totò scrisse quella splendida canzone dopo il mio rifiuto, senza dedicarmela esplicitamente”.
La figlia di Totò, Liliana, ha invece svelato più volte un’altra verità. Obiettivo del risentimento dell’artista era sua moglie, Diana Roncagli, che dopo venti anni di matrimonio proprio in quei mesi aveva scelto la strada della separazione definitiva. Dopo l’ennesimo tradimento, lo aveva avvertito: “Il prossimo sarà l’ultimo”. La tesi di Liliana del resto fu avallata dallo stesso Totò che disse alla nuova compagna, Franca Faldini: “Silvana Pampanini è una ragazza tanto per bene, figurati se potevo darle della malafemmena”.

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Adottata in tutto il mondo, “Malafemmena”restò nel cuore dei napoletani soprattutto. Un giorno, lo ha narrato Vittorio Paliotti, doveva essere cantata da Mario Abbate al Teatro Italia, nei dintorni della Ferrovia. Chi sa chi strappò a Totò la promessa di presenziare allo spettacolo. I guappi del quartiere si assicurarono i posti migliori; la sala era stracolma e foderata di fiori. Passarono i minuti, e di Totò nessuna traccia. La folla mormorò, finché una delegazione di uomini d’onore affrontò l’impresario Ettore Marotta: “Ma quanno arriva ‘stu Totò?
Avevamo la vostra parola …”.
Non accettarono scuse. Uno dei boss indicò i pompieri di servizio: “Forse nun abbastaranno a stutà ‘o ffuoco”, minacciò. Si profilava il disastro. L’organizzatore Giosuè Ippolito partì di corsa alla ricerca dello scomparso. Lo trovò che passeggiava a viale Elena, immerso nei pensieri, e lo scongiurò fino a convincerlo. Quando Totò arrivò in teatro trovò i celerini già in azione, con la tenuta antisommossa.
Fu un trionfo, ovviamente. Totò dovette anche partecipare a un cenone di massa presso la fenestella di Marechiaro. Concesse a Ippolito di sceneggiare “Malafemmena”. La canzone ebbe due repliche al cinema: “Totò, Peppino e la malafemmena”, regìa di Camillo Mastrocinque (1956) e “Malafemmena” diretto da Fizzarotti, protagonisti Maria Fiore e Nunzio Gallo (1957).
Totò scrisse altre cinquanta canzoni, compresa una in francese (Le Lavandou) e la popolarissima “Miss mia cara miss”. Forse per vendetta sul passato, forse per tenerezza presente, a chi gli chiedeva quale canzone preferisse, non diceva “Malafemmena”, bensì “Sulo” che aveva segnato l’inizio del legame con Franca Faldini, l’attrice giovane, bella e seria, compagna del resto della vita.
Totò volle essere sepolto a Napoli, in una cappella non lontana da quella del tenore Enrico Caruso. Si fanno compagnia. I fiori freschi non mancano mai. Ogni tanto un appassionato arriva con un mangianastri e riempie il camposanto di parole e note di “Malafemmena”.

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2 pensieri su “La leggenda di malaffemena

  1. Ligurese

    La verità, chiaramente, non si può sapere, sono passati tanti anni, e anche se fosse contemporanea, solo i diretti interessati potrebbero saperla, conoscendone tutti i risvolti.
    Come impressione personale a me sembra che abbia amato sinceramente, almeno successivamente alla sua scomparsa, Liliana Castagnola, avendo dato a sua figlia lo stesso nome.
    Quindi non credo possa aver dedicato in seguito una canzone intitolata Malafemmina alla stessa persona.
    Colgo l’occasione per esprimere ammirazione per questo originale, e quindi dalla vera forte personalità, indimenticabile, grande artista.

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  2. Daniele

    La didascalia “Diana Roncagli e Totò” è errata. Si tratta di Franca Faldini, la compagna di Totò. L’ex moglie si chiamava invece Diana Bandini Lucchesini Rogliani.

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