Antonello Grassi

Antonello Grassi

Giornalista e scrittore. Ha lavorato per molti quotidiani, ultimo il Quotidiano della Basilicata di cui ha diretto la redazione materana

2065, addio Sud
Adriano Giannola, presidente Svimez: “ Si alla macroregione Mezzogiorno, da soli si muore ”      
di Antonello Grassi

2065, addio Sud

Da qua a mezzo secolo che cosa sarà del Mezzogiorno? A dircelo ci ha pensato la Svimez (associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) ed il quadro è terrificante.

Avremo un Sud sempre più spopolato, da cui entro il 2065 spariranno due milioni di under 44, tra denatalità, disoccupazione e nuove emigrazioni. Una terra a rischio desertificazione industriale, dove crollano consumi e investimenti, risale la disoccupazione ufficiale e  dove, in cinque anni, le famiglie povere sono aumentate del 30 per cento, pari a 350mila nuclei. L’ultimo rapporto della Svimez sullo stato del Mezzogiorno risale a cinque mesi fa. Ma chiamarlo rapporto è riduttivo. E’ piuttosto la certificazione di un fallimento. Un paesaggio fatto di macerie. Di uomini in fuga.

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Tradotto in parole, quello scrupoloso inventario di cifre ci dice che in venti anni quasi tre milioni di persone sono emigrate al Nord o all’estero; in cinque, tra il 2007 e il 2012, la produzione manifatturiera è calata di un quarto, così come i posti di lavoro, mentre gli investimenti sono diminuiti della metà. Nel frattempo le famiglie povere sono aumentate di un terzo. E nei prossimi tre decenni, se le cose dovessero continuare allo stesso modo, quasi quattro milioni di abitanti, oltre la metà giovani, andranno a vivere altrove. Un attestato di morte presunta.

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La Svimez è l’associazione che promuove e contribuisce a realizzare, negli anni del Dopoguerra, una politica di sviluppo che si fonda sull’intervento dello Stato. Ed è la Svimez a fornire la cornice teorica, il cosiddetto nuovo meridionalismo, entro la quale nasce, nel 1959, la Cassa per il Mezzogiorno: aprendo, di fatto, una stagione le cui conseguenze sono ormai materia per storici ed economisti.

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Per la Svimez si tratta, insomma, arriva a dire l’economista Giorgio Ruffolo, “di tornare a una visione unitaria della questione meridionale. A un piano del Mezzogiorno e ad una Agenzia destinata a dirigere e a gestire progetti strategici: acque, rifiuti, difesa del suolo, infrastrutture strategiche. Una riedizione aggiornata della “Cassa” posta sotto il controllo di un Consiglio con i rappresentanti del Governo (Ambiente e Infrastrutture) e delle otto Regioni. Si ricostituirebbe così uno spazio di programmazione unitario del Mezzogiorno, una macroregione”.

E’ così? Ne parliamo con il presidente della Svimez, Adriano Giannola.

Presidente, ma davvero ritiene che quella delle macroregioni, in Italia, sia una proposta praticabile?

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Adriano Giannola

“Certo che lo è. E non da oggi. Ma attenzione, la macroregione non deve essere una bandiera. Noi non vogliano istituzionalizzare il Mezzogiorno, renderlo una nazione. Qui si tratta di partire dalle giuste esigenze espresse dalle Regioni, che si trovano a fronteggiare tante difficoltà, per rendere più efficiente il governo del territorio. Bisogna partire dai contenuti. Poi si può discutere sulle forme necessarie per realizzare i nostri scopi”.
Ma come?
“Intendiamoci bene, qui non stiamo parlando di creare nuovi soggetti istituzionali. Per quelli ci vuole una riforma costituzionale e se ne passerebbero degli anni. Se invece per macroregione si intende una modalità per mettere in rete politiche comuni, allora sì, la cosa è perfettamente realizzabile. Quello che a noi serve è un forum delle regioni che si confronti sulle strategie e poi le adotta. Per fare questo basta la riforma del titolo quinto che prevede, per l’appunto, la possibilità di interconnettere tra loro le regioni”.
Lei dunque non pensa all’abolizione delle vecchie regioni…

nord-sud-281x300“Ma scherziamo? Ma sa quanto tempo ci vuole per mettere mano a riforme costituzionali? No, figuriamoci. Sostenere un’ipotesi del genere è solo un modo per prendere in giro la gente. E poi, vede? L’idea della macroregione, così come sta passando nell’opinione pubblica, suscita in molti l’idea, a mio modo di vedere pericolosissima, che si torna finalmente al Regno delle due Sicilie”.
E quindi?
“ Occorre affidarsi alla riforma del titolo V per la ridefinizione delle competenze delle Regioni e dello Stato. Non che, anche in questo caso, le cose siano semplici, ma se si vuole mettere mano a qualche cambiamento, lo si può fare soltanto in questo modo.”
E con questo schema che potranno fare le Regioni?
Potranno decidere di coordinarsi su alcuni progetti. Possono già farlo, ad esempio, rispetto al programma comunitario 2007-2014. Lì c’è un progetto che riguarda l’energia sul quale la confusione è totale: le Regioni non hanno speso una lira, e lo Stato nemmeno. Poi ci sono priorità importanti, per le quali è necessario adottare politiche comuni, dirigere e a gestire progetti strategici: acque, rifiuti, difesa del suolo, infrastrutture. C’è il capitolo dei rapporti col Mediterraneo. Insomma, se si vogliono fare le cose, gli strumenti si trovano, non abbiamo bisogno di etichette. Ma se si vuole andare avanti con la politica pubblicitaria degli annunci …”.

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Ce l’ha con Renzi?
“Di Renzi per ora, non si può pensare proprio niente visto che niente ha detto in materia di Mezzogiorno. Il suo mi sembra un programma piatto. Aspettiamo che dica qualcosa …”
Le Regioni già potrebbero coordinarsi, dice. Ma come?
“I Governatori sostengono – e io sono d’accordo con loro – che vogliono essere messi nelle condizioni di concordare strategie ampie e di lungo respiro. L’obiettivo è rendere più forte il Mezzogiorno? Va benissimo. Ma io dico che se si è convinti di questo, la possibilità istituzionale di concordare grandi progetti già c’è. Anni fa, prima a Palermo e poi a Napoli si riunì il coordinamento che eravamo riusciti a realizzare con la sottoscrizione di un documento da parte di tutti i governatori, in Campania c’era Bassolino. Dopo quei due appuntamenti non se ne fece più niente nonostante che su energia e gestione delle acque ci sarebbero tutti i presupposti per azioni comuni.
Intendete riproporre quello schema?

industrie-sud-mezzogiorno-meridione_jpg“ Senza dubbio. Noi della Svimez ci stiamo riprovando. Vogliamo convocare un forum dei presidenti delle Regioni proprio per affrontare il nodo delle grandi scelte strategiche che oggi competono al Sud. Un incontro necessario perché riguarda l’atteggiamento da assumere rispetto all’agenda Ue 2013-2020 e ai nuovi fondi strutturali. Spero proprio che tutti i Governatori aderiscano”.
Come dovrebbe mutare il rapporto tra Mezzogiorno e Unione europea?
“Se parliamo delle politiche di coesione, l’Italia si trova, per sua negligenza, una condizione di subalternità. Il problema, comunque, non è se spendiamo o meno le risorse. Anzi, io sono sicuro che non perderemo un centesimo. Noi spendiamo molto di più di paesi che sono nostri competitori, e che pure non hanno i nostri vincoli, ma non facciamo valere questo argomento. Ma la verità è che questa spesa non crea vero sviluppo, rientra in una mera politica di sostegno. Le risorse europee che spenderemo non possono sostituire gli investimenti. D’altra parte si tratta di soldi nostri, soldi che abbiamo dato all’Europa e che ci tornano indietro. Dunque non sono capitali aggiuntivi e non contribuiscono alla crescita, ma soltanto a tenere in vita un’economia moribonda. Sui fondi europei c’è una grande mistificazione. Ci affidiamo a quelle europee come se fossero le uniche risorse possibili (e purtroppo lo sono). Perché? Perché manca una politica nazionale per il Mezzogiorno. E l’arrivo di Renzi al Governo non mi sembra che, al momento, abbia cambiato le cose…”.
Qual è la posizione della Campania nel fragile tessuto economico del Mezzogiorno?
“La Campania è ancora ultima per Pil procapite e continua a peggiorare. Una situazione difficile, da bloccare. Non c’è più tempo da perdere…”

 

 

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