Mimmo Carratelli

Mimmo Carratelli

Giornalista e scrittore. È stato inviato speciale e caporedattore al “Roma” di Napoli, a “La Gazzetta dello Sport”, al “Corriere dello Sport-Stadio”, a “Il Mattino”, oltre che vicedirettore del “Guerin Sportivo”.

Quando i Conte non tornano 
 Il divorzio dell’allenatore dei tre scudetti. Una prova di forza che Agnelli ha voluto vincere       
di Mimmo Carratelli

Quando i Conte non tornano

di Mimmo Carratelli

Il divorzio dell’allenatore dei tre scudetti dalla Juventus. Una prova di forza che Andrea Agnelli ha voluto vincere. Da Del Piero a Conte, la storia è uguale.

 Mentre la depressione del Mar Nero rovescia gli ultimi acquazzoni sull’Italia e la perturbazione irlandese si allontana verso la Norvegia, dal cielo della Penisola finalmente sereno piomba sul suolo italico un fulmine che, dopo essersi innalzato dalla torinese via Galileo Ferraris ed essere salito verso la ionosfera, è rimbalzato a terra, rimandato dai satelliti bianconeri.

Bum! Antonio Conte, l’uomo di Lecce (Lecce l’homo), divorzia dalla Juventus.

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Antonio Conte, saluta e va via

Apparendo in video, abbronzatissimo, più nero che bianco, e con una maglia che pare quella del Flamengo, Conte divulga l’abbandono della fortezza juventina, quella che lui stesso, in questi ultimi anni, ha contribuito a creare, solo contro tutto e tutti, conquistando lo storico traguardo di tre scudetti consecutivi, fenomeno bianconero che risaliva agli anni Trenta, ma inciampando malamente sui campi europei, messo all’angolo da semidilettanti danesi e da un satanasso ivoriano in servizio mercenario con i turchi, in una serata di neve flagellante, con la perfida collaborazione di un pelato olandese, il signor Sneijder.

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Conte e Agnelli, la firma che non c’è stata

In un mercoledì poco da leoni, va in frantumi la leggendaria juventinità, quella forza oscura, arrogante, operaia ed elitaria, compatta, prepotente ed esuberante, che ha spazzato i campi d’Italia sventolando la bandiera del razzismo morale, quella superiorità etica, di appartenenza, di forza, di casato, di storia, che era appartenuta al Pci, ma che nella Juve è stata bollata con una retrocessione e la squalifica a vita di dirigenti quando a proteggerli non c’era più la suprema ironia dell’Avvocato.

Il fulmine bianconero è rimbalzato sulle spiagge della Romagna, si è abbattuto sulle Puglie, si è allungato come un serpente nelle Calabrie, è rientrato in Piemonte, e altre regioni ha sfiorato, dove più forte, altero e altezzoso vive l’immenso popolo dei sudditi bianconeri, in pianta stabile sul carro dei vincitori, votatisi a un ideale raccontato, a una favola sicuramente scintillante, illuminata da prodezze più antiche che moderne, Orsi e Cesarini, Sivori e Charles, Cabrini e Tardelli, Platini e Boniek, Zidane, ma velata da troppa sicumera, dalle legge sempre crudele e prevaricante del più forte, dai soldi della Fiat fino all’inaridimento di tutto con il club ripiegato su un bilancio maledettamente in rosso.

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Agnelli e Conte, le strade si dividono

Grande Juve, e chi può negarlo, ma grande, insopportabile dittatura. Fidanzata d’Italia in un Paese di fedifraghi e famiglie allargate. Nel tempo, squadra di classe e di carattere che non ammetteva ostacoli. Li abbatteva in ogni modo, con un calcio di rigore, un’espulsione degli avversari, una compiacenza “nera” sul campo e una telefonata fuori dal campo.

Come i meridionali fecero forte la Fiat, così il meridionale Antonio Conte ha fatto forte la Juve trasformandola in una catena di montaggio col sudore di tutti i dipendenti, sudati ma vincenti. Poi, anche le grandi storie si spezzano. Perché Conte e la Juventus, a metà di un luglio che doveva essere di ricostruzione tattica e rilancio di talenti, si sono lasciati?

Conte si è sentito troppo logorato dai tre anni storici, dalle settimane lacrime e sangue, dalle partite vissute in trance agonistica con gesti clamorosi di disperazione e di gioia, salti, abbracci, faccia feroce, parrucchino saldo e braccia larghe? Conte ha capito che il mercato della Juventus offriva poco per cominciare una nuova avventura da dominatori e ha mollato?

Mollando a metà luglio, fuori da ogni tempo massimo per la scelta più serena, opportuna e conveniente di un erede, Conte ha lasciato la Juventus nuda, senza più neanche il pigiama a righe dei trionfi.

E’ stato il grande ribelle in un ambientino di soldatini ubbidienti, come lo definì Cassano. Non ci sono in ballo questioni tecniche, né questioni di soldi.

E’ stato solo uno scontro in cui il giovane Agnelli (lo chiameremo Andrea) ha voluto fare l’Agnelli come le sue forze ridotte, di un’altra epoca rispetto ai grandi predecessori, non gli consentono. Il suo carisma è debole, benché mascherato da un decisionismo giovanile, dalla sicurezza per l’appartenenza a un casato dominante, dal faccino atteggiato sempre a una superiorità non riconosciuta. Il suo fascino è discutibile. Non ha forza reale, ha solo immagine ereditata. La sua reale debolezza lo ha montato, lo ha caricato, l’ha fatto salire sempre più su per dimostrare che “qui comando io”.

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Si è ripetuta la storia di Del Piero

Forse, Antonio Conte gli faceva troppa ombra? I successi erano di Conte e, solo di riflesso, di Andrea Agnelli? Lo avrà pensato? E’ possibile.

Alla prima mossa da padrone bianconero di nome Agnelli liquidò con scarsa eleganza Alessandro Del Piero, una bandiera juventina, togliendogli il campo e ogni prospettiva in società. Il giovane Andrea soffriva anche l’”ombra” di Del Piero? Deciso, forse anche sgarbato l’allontanamento del fanciullo prodigio.

E’ successa la stessa cosa con Conte che, al contrario di Del Piero, non è uno che abbassa la testa. Se ne è andato, consensualmente dicono le cronache. Se ci sono stati i lunghi coltelli, nessuno li racconta ancora.

Questo è stato il duello che ha portato al divorzio di Conte dalla Juventus. Il duello in cui Andrea Agnelli si è impegnato per dimostrarsi il più forte, nonostante i languidi baci e le pubbliche carezze con l’allenatore. Un duello risoltosi al veleno nonostante le dichiarazioni diplomatiche dei protagonisti e la finto-romantica lettera di Andrea Agnelli, il presidente, al “grande condottiero”, perduto da rattristarsene per sempre, ahi la piemontesità falsa e cortese. Un braccio di ferro in cui il giovane presidente ha riaffermato la sua unica e sola presenza indispensabile alla causa juventina. Tutto il resto passa, da Del Piero a Conte.

Domani è un altro giorno. Ma, da qualunque punto di vista lo si guardi, è un giorno nero per la Juventus, il club di grande carattere, ma di nessun sentimento. Perduta anche l’eleganza nel passaggio dall’Avvocato ironico, mondano, ineguagliabile tombeur de femme e di affari, al nipotino (figlio di Umberto) uscito da Oxford e dalla Bocconi con un cuore piccolo così.

 

 

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