Mimmo Carratelli

Mimmo Carratelli

Giornalista e scrittore. È stato inviato speciale e caporedattore al “Roma” di Napoli, a “La Gazzetta dello Sport”, al “Corriere dello Sport-Stadio”, a “Il Mattino”, oltre che vicedirettore del “Guerin Sportivo”.

La napoletanità ipocrita
Il mito di un intelligenza superiore, l'incapacità di imporre una diversità
di Giorgio Bocca e Antonio Ghirelli

Napoli non è più Napoli

di Mimmo Carratelli

Napoli non è più Napoli. L’incipit de “La morte della bellezza” di Giuseppe Patroni Griffi non è paradossale quando ricorda con nostalgia la Napoli sotto i bombardamenti, con l’oscuramento e le notti di paura e fughe nei ricoveri. Non proprio quella Napoli era bella. Napoli fu la città italiana più bombardata dagli alleati da quella prima incursione dell’1 novembre 1940 alla mattina dell’8 settembre 1943, più l’appendice del bombardamento tedesco nella notte dal 14 al 15 marzo 1944. Non la Napoli di quegli anni era bella, ma la Napoli del dopoguerra è stata bella.C’erano stati 25mila morti sotto i bombardamenti. In una sola volta 400 “fortezze volanti” oscurarono il cielo. Era il 4 agosto 1943. I bombardamenti divennero giornalieri. Avevano cominciato i bombardieri leggeri inglesi, poi arrivarono i B17 degli americani, le “fortezze volanti”.Napoli era tutta una maceria. Dai bombardamenti strategici su precisi obiettivi, il porto, la stazione, le raffinerie, le fabbriche, si passò ai bombardamenti “a tappeto”. E così le vittime furono in gran parte civili.Ricordo il monastero di Santa Chiara sventrato, le macerie del Palazzo delle Poste, l’ospedale Loreto distrutto, i decumani sconvolti.Da quella distruzione Napoli seppe risorgere. Il dopoguerra è stato il periodo più disperato e magnifico della città. Quando la miseria allentò sopraggiunsero la solidarietà, la voglia di vivere e ricostruire, l’impegno ad essere più forti dei lutti e delle devastazioni. Napoli riconquistò la sua umanità.Protagonista fu il popolo, la vera spina dorsale della città. Il popolo fu magnifico. Negli stereotipi delle varie ricostruzioni cronachistiche e storiche prevalgono la furbizia, il “pacco”, la prostituzione, gli sciuscià e le “segnorine”. Quando arrivarono i primi turisti, americani per lo più, essi non rimasero abbagliati dal panorama e dai monumenti, ma furono conquistati dalla capacità di un popolo messo in ginocchio che sapeva sorridere, essere ospitale e con tanta voglia di lavorare per cancellare lo sfregio immane della guerra. Napoli dette il meglio del suo cuore e della sua energia.Il dopoguerra fu un fantastico momento di vita della città. Si stava molto per strada dopo essere stati costretti per giorni e giorni nei 300 rifugi cittadini, i tunnel della città e le numerose e immense cavità del sottosuolo. Tornarono gli sfollati.Gli anni Cinquanta restano indimenticabili. Una città che risorgeva, ma era soprattutto il suo popolo che rinasceva, generoso, disponibile, sentimentale. Il centro cittadino, tornato luminoso, era vivo sino a tarda notte. Miseria e nobiltà. Nessuno girava le spalle. Se qualcuno era vittima di un incidente c’era un concorso di folla ad aiutarlo.

C’era come una felicità disperata di essere degli scampati. I vicoli sprigionavano una grande umanità. Il contrabbando delle sigarette era allegro.La morte della bellezza di Napoli si può far risalire alla fine degli anni Settanta. Col terrorismo prima, con la droga poi, la bellezza se ne è andata. Il ritorno efferato della camorra ha chiuso il cerchio. La generosità è sparita. Vince l’egoismo dei tempi nuovi. Napoli man mano è diventata meno Napoli e più somigliante alle caotiche e pericolose metropoli del mondo.

Il popolo ha perduto la genuinità, la sincerità, la generosità travolto dalla “vita facile”, dai “guadagni facili”, dalla “corsa” a prendere tutto e subito.

La droga più di tutto ha distrutto Napoli e la sua umanità. Ha devastato proprio il popolo. Il centro cittadino non è più luminoso e affollato, ma buio e deserto. L’emblema del cambiamento è il grande buco nero di Piazza Plebiscito.

La vita notturna è finita. Si ha paura a percorrere le strade di notte quando, prima, era una festa.

Scomparsi i night del lungomare, morta la Piedigrotta senza che si sia riusciti a farne una versione moderna.

La Piedigrotta era festa di popolo e di canzoni. Finita.

Piazza Trieste e Trento si svuota già alle dieci di sera. Nell’estate del 1970 era piena di vita e non solo perché, in cinque giorni di un agosto indimenticabile, Antonio Mellino, ribattezzato “Agostino ‘o pazzo”, vi irrompeva dai Quartieri con la sua Gilera 125 ampiamente truccata per una serie di acrobazie che furono uno spettacolo spontaneo. Le spericolate apparizioni di Mellino furono ancora più eccitanti quando la polizia decise di dargli la caccia. Furono notti incredibili. I ragazzini si davano la voce avvistando il centauro folle. In piazza Trieste e Trento c’erano sino a cinquemila persone in attesa delle prodezze di Mellino. Gli misero il nome di Agostino per paragonarlo al motociclista sportivo più famoso d’Italia, Giacomo Agostini.

Fu l’ultimo “slancio” di una città che si avviava a perdere il patrimonio delle sue sorprese, della gioia di vivere, delle genialate semplici. La notte divenne sempre più buia. Ma Napoli è buia anche di giorno avendo perduto la sua allegria.

Neanche i tram ci sono più. Una linea di filobus risveglia nostalgie fasulle. I panni stesi nei vicoli hanno perduto la loro gaiezza. Il Festival della canzone napoletana è un ricordo nostalgico.

La città ha cambiato volto imbruttendosi nelle zone panoramiche, infelice nelle periferie.Il mondo è cambiato e Napoli con esso senza essere più Napoli. Forse, è stato un processo inevitabile. E l’orizzonte è oscuro.

CondividiShare on Facebook0Tweet about this on TwitterPin on Pinterest0Share on Google+0Share on LinkedIn0Email this to someone

Un pensiero su “Napoli non è più Napoli

  1. Bona Mustilli

    Si sente la nostalgia, la malinconia per una Napoli che noi abbiamo vissuto, anche se sfiorata, come nel mio caso. Ero piccola quando ho visto sfilare gli ultimi carri allegorici di Piedigrotta, ero un po’ più grande quando fecero l’ultima edizione del Festival di Napoli, che però noi Napoletani borghesi snobbavamo un po’ , ” roba del popolino ” noi eravamo i moderni, gli acculturati, ascoltavamo i Beatles , i Rolling Stones, noi cominciavamo a parlare di politica come i grandi. C’era il Vietnam, io ero ancora piccola, a 14 anni sei ancora una bambina, ma giocavo già con i primi filarini , mi dovevo atteggiare. Napoli con noi ragazzi non c’entrava nulla, uscivamo ci divertivamo, ma chi guardava la città! Ecco forse il problema è nato lì in quel periodo e con la mia generazione, i nostri genitori erano occupati a ricostruire la Grande Bellezza, che la guerra aveva tentato di distruggere, noi invece troppo occupati ad imparare a vivere nel futile e nel nulla. E quando ci siamo accorti dello sbaglio che avevamo fatto ci siamo ritrovati Napoli spenta, senza più sorriso, distrutta, in mano a delle persone infime e senza amore. Ma se riuscissimo a passare un messaggio diverso ai giovani forse loro potrebbero sperare di ritrovare quella Napoli che noi abbiamo perduto. Se in giro ci fossero tanti uomini e donne di buona volontà la potremmo salvare

    Replica

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>

Altri post dello stesso Autore