Antonello Grassi

Antonello Grassi

Giornalista e scrittore. Ha lavorato per molti quotidiani, ultimo il Quotidiano della Basilicata di cui ha diretto la redazione materana

I Sassi in bocca 2/ La borghesia sul divano…     
 Matera è spenta sotto il profilo intellettuale e in agonia dal punto di vista produttivo   
 
di Antonello Grassi

I Sassi in bocca
La borghesia sul divano…

di Antonello Grassi

Con sette voti su 13 membri, la giuria presieduta da Steve Green, come è noto ha votato Matera come Capitale Europea della Cultura per il 2019. Ma che significato ha per il Mezzogiorno questa proclamazione, quale effetto può avere per lo sviluppo del territorio? E, soprattutto, arriviamo attrezzati all’appuntamento?

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Abbiamo affrontato questi temi con Emilio Nicola Buccico, l’uomo che lanciò, da sindaco di Matera, la candidatura della città. Un’intervista-reportage in due puntate per vedere dal di dentro come stanno le cose. Nella prima puntata l’ex sindaco è stato molto critico sul “Comitato Matera Capitale Europea”. Scelte sbagliate, mancanza di strategia, senza un’idea d’assieme. Una occasione clamorosamente persa.

 http://ilnapoletano.org/2014/10/i-sassi-in-bocca/

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Ex sindaco Buccico, lei ha detto che la Basilicata non è la Lucania che non avete niente a che fare con l’alto potentino. D’altra parte, lo stesso poeta romano Orazio, che era di Venosa, non diceva di sè “anceps lucanus o appulus”? E cioè che era incerto se considerarsi lucano o appulo, pugliese… Ma si sta parlando di secoli fa… Del resto, per un pezzo, e almeno fino all’unità d’Italia, il faro della Basilicata è stata Napoli …  Sì, ma si trattava di un rapporto necessario giustificato dal fatto che a Napoli c’era l’unica università del Sud. E fino all’inizio del secolo scorso anche noi eravamo “napoletani” nel senso che Giustino Fortunato dà a questo termine. Per lui erano napoletani patrioti e intellettuali della Rivoluzione del ’99 come Mario Pagano, che invece era nato a Brienza, in un’area certo anche geograficamente vicina a Napoli, o Domenico Cirillo che era molisano. Ma allora Napoli era davvero la capitale culturale del Sud. E a Napoli c’era l’unica Università del Mezzogiorno. Poi, dai primi decenni del Novecento cambia tutto.

Che cosa succede? Cominciamo a guardare al versante adriatico: il che corrisponde, come dicevo, alla nostra natura geografica e alla nostra storia. E questo accade con la nascita, nel 1930, dell’Università di Bari. Un ateneo che ha esercitato un ruolo decisivo nella formazione di molti di noi. Poi abbiamo assistito alla cosiddetta regionalizzazione delle università, con la polverizzazione e l’appiattimento dei saperi, che ha avuto una funzione non secondaria nel collasso delle classi dirigenti meridionali, compresa la nostra.

Buccico e Ciampi

Buccico e Carlo Azeglio Ciampi

Lei si è formato a Bari? Sì, e sono stati anni fondamentali anche sotto il profilo politico e culturale. Pure mio padre, un uomo che ha avuto un ruolo decisivo per la mia formazione, aveva completato i suoi studi lontano da Napoli, essendosi laureato a Firenze prima di conseguire una seconda laurea a Bari. A Napoli, invece, aveva studiato mio nonno, tanto che tuttora esistono dei Buccico napoletani. E un mio cugino, Luigi, è stato deputato socialista, sul finire degli anni Settanta, prima di finire ucciso per una storia passionale dal sapore ottocentesco. Per inciso, il ceppo napoletano della mia famiglia aveva solide radici socialiste, di un socialismo fortemente riformistico.

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Che tuttavia non ha avuto alcuna influenza su di lei… No, io sono sempre stato un conservatore. Come mio padre, uomo di destra con un’impronta morale che gli derivava da un’educazione che risentiva ancora dei miti risorgimentali. La mia destra, invece, si ispira a quella dei Cavour, dei Lanza, dei Quintino Sella: è la destra che, all’indomani dell’unità, costruì l’Italia, dando una lezione di serietà che è rimasta inascoltata. Quella che nel Novecento è stata talvolta evocata da uomini come Longanesi, Montanelli… Una destra  che era assai più attenta alle libertà civili. Il codice civile del 1865, ad esempio…Con tutto il rispetto per quello attuale, del ’42, che è un grande codice civile e ha tenuto salda l’unità sociale del Paese – quello del ’65, dicevo, era un codice che riconosceva, per dire, una specie di ius soli in termini automatici. Venivano riconosciuti agli stranieri sul nostro territorio diritti che oggi sono al centro di discussioni… La destra storica ha sempre tenuto in forte considerazione la qualità dei diritti soggettivi…

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Buccico e Fini

E che cosa c’entra con il Msi, nel quale lei ha mosso i primi passi come politico? Niente. Ma nel Msi, assieme ad alcuni amici, tentammo di portare una mentalità diversa.

Quali amici? Quelli che conobbi all’Università di Bari, la quale giocò un ruolo decisivo nel determinare le amicizie che mi avrebbero accompagnato in seguito. Come quella con Pinuccio Tatarella (oggi presiedo la Fondazione a lui intitolata). E con Mimmo Mennitti, che sarebbe diventato sindaco di Brindisi. Non ci sentivamo orfani di Mussolini. Anzi, sostenevamo che il fascismo avesse interrotto lo sviluppo naturale della destra in Italia. Ed eravamo filoisraeliani in un periodo in cui tutto il partito era fortemente filoarabo. Certo, in me giocava il fatto che mio padre, che pure aveva aderito spontaneamente al fascismo, divenendo il segretario del Guf materano, se ne era poi allontanato ed era finito in un lager tedesco, il terribile campo polacco di Wizendorf, dove condivise la prigionia con personaggi come lo scrittore Giovannino Guareschi, il futuro segretario del Partito comunista Alessandro Natta, l’attore Gianrico Tedeschi, lo psicologo Antonio Miotto). Insomma: con la tradizione nostalgica del Msi avevamo poco da spartire.

Il Sasso Caveoso con vista di Santa Maria di Idris

Il Sasso Caveoso con vista di Santa Maria di Idris

 

E allora che cosa ci faceva nel Msi? Vede, quando sul finire degli anni 50, io frequento il liceo Duni di Matera, che allora era a Palazzo Lanfranchi, per Matera è un momento molto particolare. La questione dei Sassi ormai è scoppiata. La città è diventata un polo d’attrazione per intellettuali provenienti da ogni parte del mondo: economisti, urbanisti, sociologi. Per la città è un momento importante, creativo. E mi trovo in quest’ambiente dominato da cattolici e comunisti. E’ un moto di ribellione, quasi una rivendicazione di indipendenza, trovarsi nelle file di un partito come il Msi.

Che tipo di città era Matera, allora? Una città fortemente impiegatizia. A determinare la crescita a dismisura di questa piccola borghesia in una città vissuta per millenni di agricoltura è stata l’istituzione nel 1926 della Provincia di Matera. La quale si porta dietro Prefettura, Questura, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato, Camera di commercio e così via. Un proliferare di enti e aziende di servizi che finirà per stravolgere la tradizionale composizione sociale della città. E tuttavia è una città viva, non solo perché, grazie ai Sassi, si trova al centro di un dibattito internazionale, ma perché vede l’emerge di forme originali e autonome di economia.

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Come è cambiata la composizione sociale della città? Abbiamo visto artigiani trasformarsi quasi naturalmente in imprenditori, assecondando la vocazione del territorio. Consideri il caso della pasta. Questi nuovi imprenditori sfruttavano i prodotti nostri, i grani duri della Basilicata e, in particolare, della provincia di Matera. 
E nascono aziende di discrete dimensioni che occupano centinaia di dipendenti. Il segno di una vitalità che con il tempo andrà perduta. E la cui lezione nessuno sarà in grado di raccogliere.  

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E che fine hanno fatto queste aziende? Tutto declina a partire dagli anni ’70 con l’arrivo della chimica e l’industrializzazione della valle del Basento. Una novità che genera un entusiasmo folle. Tutti vogliono lavorare in questo comparto. Nascono le grandi industrie, i mercati si aprono, e le imprese di nicchia – come quelle della pasta e del mattone – non riescono a reggere la concorrenza. E quando anche la chimica comincia a precipitare ecco il fenomeno imprevisto del divano in serie. A seguire l’esempio di Pasquale Natuzzi sono decine di artigiani. Quando tutto questo finisce sull’onda di una crisi mondiale e sotto la pressione delle economie emergenti, su Matera cala il buio.


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Sta parlando di oggi… Parlo di una città spenta sotto il profilo intellettuale e in agonia dal punto di vista produttivo. E di una classe dirigente di cui il meno che si può dire è che ha il respiro corto. Una città in cui è in atto una drammatica diaspora dei cervelli. Con un ceto impiegatizio ormai invasivo, e una disoccupazione dilagante, la città ha visto spegnersi a poco a poco tutte le sue preziose attività artigianali. E quei pochi che resistono, faticano a uscire da una dimensione produttiva di pura sussistenza. E, ciò che è più grave, tutto questo accade in assenza di una classe dirigente. 


Perché? Che fine ha fatto? Vede, a Matera, nel corso del Novecento, abbiamo avuto una grande classe dirigente, una vera borghesia. La quale mandava i figli a studiare a Bologna, a Napoli, a Lipsia, Vienna. E quest, una volta tornati mettevano a frutto le esperienze e le relazioni culturali maturate nel mondo. Pensi a Ridola, per stare al caso più noto, al suo museo, alla sua storia di grande collezionista, ma prima ancora di studioso di medicina, storia, archeologia; e consideri che il frutto di una vita di studi è oggi un patrimonio cittadino. Tutto questo si è perso.

(2. fine)

 .

 

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