di Marco Catizone
“L’Italia dobbiamo mandarla a fanculo” ( Umberto Bossi ).
“Sapesse quante idee mi frullano per il culo” (Ennio Flaiano).
Perché Matteo, l’altro, quello con la faccia da insaccato barbuto, il Brontolo della Bassa, verdognolo ed incazzato come un Grillo razzista con lo spadone celtico adesso fa sul serio: punta in alto le sue corna da vichingo di balsa, i suoi quarant’anni da eterno fuoricorso, ed il suo 30 per cento di gradimento; felpa da sfigato proletrario, la scritta “Milano” o “Lombardia” ben in resta, giusto per ricordarsi dove sta di casa, orecchino da fricchettone nerd allucinato, Salvini è lo stakanovista mediatico della nuova Lega 2.0, a macinare chilometri virtuali, ormai ben lontani dal Miglio che fu (“Una scorreggia nello spazio”, secondo l’ex guru scasciato e imbolsito, tale Umberto B.), alla rincorsa vincente dello spauracchio acchiappa voti di turno per gli allocchi di sempre.
E se ieri erano Roma Pappona ed i Meridionali puzzoni e stortignaccoli, oggi è l’Euro-makumba, la “Krisi”, e i clandestini maledetti “ke ci rubbbano il lavoro a noi”, i diritti dei gay “che tanto sono sempre ricchioni” e tutti gli immigrati in generale che devono “starsene accasa”, al minimo nelle lande dimenticate da dio a raccogliere lacerti d’economia italica, anche quando la loro terra è insanguinata e bruciata a fuoco vivo; nel borsino della New Lega by Salvini salgono paradossalmente i napoletani, non più da lavare col Vesuvio, e nuovi alleati sono adesso le genti del Sud, terra e bacino di voti che al Matteo di lotta e di sdoganamento fan gola assaje: quando la nemesi la rima col paraculismo, n’est pas possible! Perdonato il traditore Belsito (quello che profumatamente versava in nero pacchi di diamanti e quattrini a molti sodali del partito), messo all’angolo il centrista Maroni ed in ombra il bel Tosi, Salvini lancia la sua personale opa su Lombardia e mezza Italia.
Dismessi i panni dell’orsobalù secessionista, rottamato il sigaro celodurista ormai floscio di Umberto B., accartocciati alla rinfusa le camicie moccio smunto del figlio scemo del Capo, passato alla storia col nome battagliero pelleverde di Trota, gettati nel fuoco delle vanità personali i totem farlocchi e carnascialeschi che fecero grande e poi disfecero in cenere la Lega, il Matteo Secondo è pronto a sigillare con silicone e catene anche il vecchio casermone ormai deserto di via Bellerio, sede storica del manicomio leghista: Salvini ha rapidamente traslocato gli scatoloni ed vessilli ammainati della vecchia armada invincibile di imprenditorucoli e piccoli borghesi, nel suo smart & light party da tablet e iphone, tweets e social post, portando l’asticella del consenso sempre più in alto, dalla evanescente e nebbiosa valle Padania a lande soleggiate e ben più vaste, e politicamente redditizie, incistate di rabbia e d’impotenza, in breve sul suolo italico tutto.
Prono a tutto, uno e trino, renziano nel midollo senza saperlo, pur di rilanciare il suo gutturale eloquio da pierino del Nord, Matteo Secondo imbraccia lo spadone leghista come fosse paiolo, per buttarsi nel calderone moscovita dello zar Putin, suo “personale” amico sul fronte anti-Europa, invidiando la destrorsa francofona, la Marie de France, lepeniana de ferro che coi rubli ci va a cena, proprio lui che in un passato non troppo lontano aveva lanciato i “Comunisti Padani” con tanto di spilletta all’occhiello del “Che”, ebbro di rivoluzione e fumi del Po, finito poi su “Chi” o “Oggi”, o giù di lì, mezzo nudo in coperta con ascella fluente: un panzarotto ciancicato col po’ di muffetta a spuntare nel sottobosco pilifero, come un Renzi qualunque in camicia e panzella, perché l’immagine è molto, e nulla va lasciato alla nostra povera immaginazione.
Nel doppio gioco di specchi e riflessi, un Matteo si specchia nell’altro: Salvini e Renzi, figli catodici dello Zu Silviu che fu, debuttarono sulle frequenze del Biscione in preda dei fumi post adolescenziali (Metteuccio alla “Ruota” della buonanima di Mike, Salvini in un quiz con Corrado Tedeschi) e pre-Tangentopoli, prima del cupio dissolvi partitico, lo Zeitgeist che spazzò via ideologie e paraventi, lasciandoci nudi di fronte all’orror (picture show) vacui, tra le fauci di piduisti riciclati, avanzi di balera e compagni che sbagliano, pronti ad offrirci sul desco del Drago, qualcuno calando le braghe, altri alzando la zip, nel mesto tintinnio di calici e tartine e nani e ballerine, persi in stanche scene di fine impero o preda di delirii pasoliniani alla Sodoma (120 giornate, posson bastare?) e Gomorra (oddio Saviano no!), ebbri di nulla e vanagloria, sempre più corrotti e proni al piazzista vendipentole e ballista di turno: che sia il Tosco Cazzaro o il redivivo leghista in salsa lepenista poco male, ci arrendiamo, come sempre, all’evenienza.