di Marco Catizone
Homo novus, ecce homo, prosaico vulgo vuole che ogne scarpa addeventa scarpone, e il vanto dei forti, degli eletti, dilava in quotidiano frangersi di flutti e riflussi, col “Sindaque du Role”, il Maire Partenopeo, l’aranciotto de Magistris, che da incognita politica s’è disvelato in politicante di razza mediatica doc., propalatore eccelso di boutades tres charmant, di slogans peripatetici in giro per i social networks, tweeter addicted in frenesia da pollice opponibile.
Ergo, il Sindaco Giggino, per voluntas populi dal giugno 2011 assiso sullo scranno, e da sempre presente nella sua personalissima “Top Five” (classifica redatta dalla Scavolini, la più amata degli Italiani) degli Amministratori “très chic”, tra i più amati d’Italie, con lungimiranza e “bonapartenopeismo” di stampo vagamente zapatista, ha disciolto nell’acido e nell’andazzo amministrativo-burocratico, tutto il capitale umano di voti e proclami che conquistò da descamisado imbandanato in quel di giugno di (quasi) un lustro fa. In principio furon rose furenti e rosso ottobrine, che s’acquietarono in ben più prosaici purtualli a fiorire all’ombra delle balaustre in fior di Saint James Palace Hotel.
Tempo al tempo, mes amis; scisso il piano prospettico, la realtà arancio-cremisi è viepiù controversa, il rivoluzionario (“Che” o ci fa?) guevarista ha lasciato il posto al vicerè Giggino Murat, calato come unno a far strali del consociativismo politicante e trasversale, e finito ad annaspare nella mota lutulenta d’un diuturno sciaquettar di panni da sciorinare e buche da rattoppare: paiono defunti e stracqui i tempi dello “scassamento” sistematico e sistemico, quel mantra a piena gola a decantare, in piazze piene e vociferanti, di zandraglie e putipù, con “Banderas” (nota la rassomiglianza con lo Zorro d’Andalusia) da piazzare in Comune tra noi, a svolazzere adunco, narciso e fiero, nonché guascone come il Re Giacchino che fu.
Giggino Cheguefracchia ormai oscilla, in perdurante disequilibrio, tra l’empireo regale del dioscuro sceso in terra a fugare i mali e le miserie (politiche) del mondo, e la tempestosa bolgia dell’umano sentire, quell’aspirazione confusa e spasmodica ad essere “il Migliore” di turno, quello lì, già proprio quello, dell’Ordine Nuovo e Partecipativo, un falansterio pencolante di neo-consociativismo da rifondare ex novo, nel nome del “nuovo” margravio. Ergo, nova era, vezzi antichi: il tipo è piacione, e assaje si piace: sindaco “ad personam”, nell’acclarare il senso d’un leaderismo mediatico profuso a piene mani, nel parossistico inseguimento del favor populi, e di quel di telecamera. In tempi grami e di gramaglie luttuose, di un’afonia sinistrorsa pressoché totale, in cui capi e capesante cincischiano ammiccanti, s’immischiano avvilenti, arrovellandosi nell’incertezza dell’esserci ad ogni costo, anche a quello del ridicolo, è tutto caseo che cola in attesa di cagliare, raggrumandosi attorno al fuso d’un leaderino in scala ridotta assiso sul tronetto periferico d’una (ex) regina sbertucciata, Signora del Mezzogiorno in perenne attesa di riscatto e rilancio (ammèn!).
Un uso eccessivo del pronome “Noi” a fare da pendant con il deprecato e vieto “io” berlusconiano, che il buon Gadda definiva come “il più lurido dei pronomi”, un manifesto politico d’intenti unitari in fieri, rabberciato ed includente, da Fasina “Chi?”, a Landini “Dove? ai Grillini “Quando?”, una indomita voluptas di nazionale senza filtro (partitico), Giggino Murat riparte da Neapoli, da Sindaco ancora in pectore per la nuova Campagna Comunale, sempre in compagnia del Germano fraterno e Volontario, e delle sue schiere in rotta di collisione con la realtà d’una città a tratti ingovernata, se non ingovernabile, di rottura politica in rottura istituzionale, da pagare con l’isolamento renziano, perché Napoli è pur sempre contado “derenzizzato” e dunque ‘nt’ ‘u culu al Governo!
E intanto si studiò da Reuccio di Napoli, ammainando vele e giubotti di Prada, facendo “ i baffi” all’ Ammerica’s Cup (e stanno ancor lì, ad affondar nel golfo), ricapitalizzando il futuro della Bagnolifutura, vaneggiando d’orizzonti d’ammore e rivoluzione al tramonto sul Lungomare “libbberato” (ma da che, da cosa, che era la Caracciolo, via primaria di scorrimento veicolare, unico collegamento per le zone alte di Posillipo e Manzoni per raccordarsi al resto della cittade?), inaugurando ZTL come se piovesse, e non preoccupandosi delle migliaia di buche che di pioggia si riempion davvero quando Partenope si ricorda d’esser città di mare, allagandosi all’abbisogna; un repulisti amministrativo totalitario, con valzer d’assessori incastrati in porte girevoli, uno va l’altro entra, all’insegna del personalismo assolutistico, del verticismo cicisbeo, del dirigismo accentratore, l’uomo solo circondato da vassalli e “spalle” poco consumante, al comando d’una squadra immaginaria, di truppe cammellate da reclutare alla men peggio, con l’ultima genialata dell’Associazione DeMa, dei soliti Fratelli in Comune tra noi, per raccattar facce di primo, secondo e terzo pelo da buttare nella caciara delle amministrative, con solito contenitore movimentistico a far da erba gatta, per attirare i gonzi portatori d’acqua al mulino di San Giacomo, dove il Nostro conta di restare, perché sennò, di grazia, come sbarca il lunario il Sol Invictus?
Eppure il solco democratico è ben sottile limen, come rasoio per demiurghi di primo pelo: e se non è “la barba che fa il filosofo”, così il polso non può dare solingo, la temperatura della democrazia. Si può esser leader da molto, troppo o un tanto al chilo; o da poco, poco tempo, o forse uomini d’unica fattura, nonché pezzo: ma il cavalcare a briglia sciolta, raminghi, rischia di trasformare le passate vittorie in debacle alla Pirro, e quello che a la carte era sfavillante destino politicante, nel luccichio d’una singola bordata, nove colpi al cuore in quel di Pizzo.