Giuseppe Crimaldi

Giuseppe Crimaldi

Giuseppe Crimaldi, 54 anni, giornalista, scrive di cronaca nera e giudiziaria per Il Mattino. Autore del volume "Napoli è servita" e coautore dei libri "Il Casalese", "Al mio Paese - Sette vizi, una sola Italia" e "Mafie". Dirige il sito della Federazione delle associazioni italiane antiracket la rivista online "Lineadiretta". Collabora come docente al Master di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa.

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S’e’ scetato o’ prufessòre

di Giuseppe Crimaldi

Parla, anzi no. Anzi sì. In quel lucido delirio che lo accompagna da sempre Raffaele Cutolo riesce a interpretare se stesso persino meglio di quanto non abbia fatto Ben Gazzara, che pure nel personaggio era riuscito a entrarci magnificamente in quel bel film tratto da un libro di Jo Marrazzo.

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Raffaele Cutolo

Giorni fa “Repubblica” ha scritto l’ultima puntata della telenovela infinita del “professore” (o’ prufessòre) di Ottaviano, che all’indomani della morte di Pasquale Barra avrebbe affidato a sua moglie Immacolata Iacone pensieri e parole capaci di superare le maglie strette del 41 bis. Proprio così, tanto oggi le interviste si fanno “de relato”.

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Il professore di Ottaviano

Che cosa ha detto Cutolo? “Se parlo ballano le scrivanie di mezzo Parlamento, molti di quelli che stanno adesso ce li hanno messi quelli che allora venivano a pregarmi”. “Mi hanno usato e gonfiato il petto, da Cirillo a Moro che, a differenza del primo, hanno voluto morto e infatti mi ordinano di non intervenire: leva ‘e mani (togliti di mezzo, ndr) mi disse Vincenzo Casillo (il suo braccio destro, ucciso a Roma il 29 gennaio 1983, ndr). Poi mi hanno tumulato vivo. Sanno che se parlo cade lo Stato”.

Ed ancora: “Allo Stato servo così. Pensano sia ancora legato alla camorra. Ma quale camorra? Pagina chiusa dal 1983, quando ho sposato Tina nel carcere dell’Asinara”. E di nuovo insiste: “Non sono un pericolo. Sarei pericoloso se parlassi, ma non ce l’hanno fatta a farmi diventare un jukebox a gettone: il pentito va a gettone. Parla e guadagna. Un ulteriore oltraggio alla memoria delle vittime”.

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Che c’è di nuovo, di non ancora detto? Niente. Da anni l’ex capo della Nco va avanti in questo delirio piagnucolante, nel dire senza mai dire, nell’adombrare un complotto che – ammesso che esistesse – farebbe impallidire anche la storia della trattativa Stato-Mafia che tanto appassiona certi pubblici ministeri palermitani. Forse, rispetto  a ieri, oggi queste sue dichiarazioni hanno il sapore agro della sconfitta, quella di un uomo non più giovane e che vede avvicinarsi la linea d’orizzonte dell’ultimo crepuscolo. Ma per il resto è tutta storia già vista, un libro già letto. Cutolo si definisce “un defunto in vita”, racconta che nel carcere di Parma rifiuta persino l’ora d’aria per evitare “controlli umilianti”.

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Cutolo e Barra

 

Ci fa sapere che i politici sono “tutti parolai” e che l’ultimo ad avere stimato è un tal Silvio Berlusconi. Parla pure di Enzo Tortora, inguaiato dalla schiera dei pentiti che, proprio insieme con Barra, lo accusarono ingiustamente: “Pasquale ha rovinato il povero Tortora. Che Enzo Tortora fosse innocente lo dissi da subito. Chiesi ai magistrati di essere interrogato. Non mi vollero nemmeno sentire”. Ah, questi magistrati…

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Cutolo, Barra e dietro Gianni, il bello

A ben guardare dopo aver letto tutto questo, di concreto non resta niente. E’ vero: oggi la camorra è altro, come altro sono la mafia e la ‘ndrangheta; si potrebbe aprire un dibattito sulla degenerazione del male, sul “romanticismo” della vecchia mala organizzata, ma non è questo il punto. Raffaele Cutolo, che ha una spiegazione per tutto, una cosa sola dovrebbe dire (e fare), e non la dice (né la fa). Basterebbe chiedere un colloquio con uno dei magistrati che qualche decennio fa fu l’unico e solo tra i pm – insieme con l’allora giudice istruttore Carlo Alemi – a provarci, a credere di poter riuscire a farlo pentire e a fargli a dire tutto ciò che effettivamente sapeva: quel pm si chiama Franco Roberti e oggi è il capo della Procura nazionale antimafia. Conoscendo Roberti sono sicuro che il numero uno della Dna sarebbe il primo a volerlo sentire. E sarebbe un gran colpo.

Perché “don Raffaele” non lo fa? Perché continua a lanciare strali e insinuazioni, quando potrebbe comodamente unirsi al pattuglione di camorristi che hanno deciso di collaborare con la giustizia, traendone i conseguenti benefici? In Italia, si sa, un beneficio non lo si nega a nessuno. Ci pensi, “professore”. Il resto sono solo chiacchiere in libertà. Dal 41 bis.

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