Franco Esposito

Franco Esposito

Giornalista e scrittore, inviato speciale de Il Mattino e del Corriere dello Sport. Presente a cinque edizioni dei campionati del mondo, 106 volte inviato al seguito della nazionale italiana di calcio e 34 viaggi negli Stati Uniti per i grandi appuntamenti di pugilato, Vincitore del Premio Coni 2011 e un record: tre finali consecutive al Premio Bancarella Sport

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Bikila Basletta

di Franco Esposito

Correva per il talentuoso che Gianni Brera, enorme giornalista dal linguaggio nuovo e unico, studioso di fisiologia dello sport, chiamava l’abatino, non senza una punta di perplessità e di elegante disprezzo. Correva per Rivera, insomma, che, certo, non era esattamente il prototipo del calciatore fisico. Ma del fisico lui non aveva bisogno, bastavano e abbondantemente avanzavano la tecnica, l’estro, la fantasia, il talento, la classe. Per il resto c’era Lodetti, l’uomo di fatica, corridore inesausto, il maratoneta al servizio di Rivera

12736239_10207562477053309_939189954_nInesauribile, una dinamo. Rasava l’erba dei campi di calcio con i suoi piedi frenetici, sempre in movimento. Pelava i prati, li piallava con galoppate infinite. Correva, Giuanin Lodetti, non si fermava mai. Correva per due, soprattutto per Gianni Rivera, manuale di estetica, trattato di tecnica, quintessenza dello stile, il goniometro nei piedi d’oro. Classe pura. Il talento abbagliante, uno spettacolo per gli occhi, goduria e piacere vero per chi amava il calcio, il gesto sublime, la giocata incantevole.

Giovanni Lodetti, mediano, centrocampista, ne era il polmone, il fiato. Si spendeva per Rivera, istituzionalmente non dotato e neppure votato alla fatica. Lo facessero altri il lavoro sporco, che lo faccia Giuanin detto Basletta per via della bazza evidente, sfuggente, lunga, caratteristica. Lodetti copriva chilometri, recuperava palloni. “Correva anche lui, Gianni. Caspita, se correva. Rivera immobile in attesa che gli consegnassi il pallone è una leggenda metropolitana da cancellare”.

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Gianni Rivera

La correzione a palla ferma, non più in corsa, l’habitat naturale di Giuanin. Il suo piccolo grande mondo. La richiesta di precisazione, comunque sospetta, sopravveniva lontana dagli ultimi calci. Lodetti aveva smesso, Rivera pure.

Lodetti assolveva in campo a un compito preciso, di pura fatica. Una missione, tout court. “Gianni correva, io il doppio. E orgoglioso di farlo perché lui ci faceva vincere le partite”. Ritiene Rivera il più grande calciatore italiano non solo dei loro tempi. Mica vero che ogni tanto si prendessero di brutto: pettegolezzi giornalistici e punto. Il brutto è sopravvenuto dopo, per la rubrica il potere cambia le persone, ne stravolge carattere e  comportamento. La riconoscenza quasi mai rimbalza col pallone.

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Giovanni Lodetti

Lodetti calciatore incrociava i grandi della terra, quasi tutti. Un collezionista: Alfredo Di Stefano, Bobby Charlton, Luisito Suarez, suo ottimo amico. “La santissima trinità del calcio. Rivera non aveva qualcosa in più rispetto a quei grandissimi, ma era diverso. E se vogliamo unico: lo marcavi e lui si faceva trovare smarcato, libero di ricevere e inventare”. Bobby Charlton, the sir, correva molto più di Rivera. Alfredo Di Stefano, saeta rubia, lo trovavi in ogni angolo del campo, in difesa e all’attacco, in un attimo. Rivera fuoriclasse come i tre della trinità citati da Lodetti. “Sì, ma di un’altra specie. I fuoriclasse nello sport appartengono a tipologie differenti. Faccio un esempio: fuoriclasse è Usain Bolt, ma fuoriclasse è anche Sebastian Coe”.

Una vita di corsa, sotto “un cielo dipinto di rossonero”. Racconto, summa, bilancio, aneddoti, curiosità, gioia, dolori: e molto altro nel libro scritto con Curzia Ferrari. Il rossonero del Milan e di Rivera, artefici inattesi di due delle tre ferite laceranti per il cuore altruista e generoso di Giovanni Lodetti, classe 1972. Giuanin da Caselle Lurani, Bassa Lodigiana, cinquecento abitanti quando lui lavorava come ragazzo di bottega. Garzone in un’officina meccanica per portare qualche soldino a casa. Il papà falegname e mamma Maria, donna saggia fedele a un principio che rammentava spesso ai quattro figli, forse per consolarsi. “Il danaro danna”.  “A casa, al paese, non avevamo nulla, solo noi stessi. Eravamo una generazione povera”.

L’eco della guerra aveva suoni distinti, chiari, anche a Caselle Lurani, dal nome dei signori del luogo, i Lurani, e Caselle, dal 1863, per distinguersi da altre località omonime. Milano a ventisei chilometri. Il campetto dell’oratorio dietro la chiesa. Don Giovanni Delle Donne, il prevosto, era il proprietario del cartellino di Giuanin Lodetti, il Basletta. Una roba da preti. Al campetto dell’oratorio, il Basletta giocava due partite alla domenica. Al mattino con i ragazzi, nel pomeriggio con i più grandi. Problemi? Nessuno. Correva, non si fermava mai. Adocchiato da un dirigente del Pejo Milano, diventava destinatario di una proposta d’ingaggio. Soldini, non cifre a sei zeri.

lodettiGiuanin andava dal prevosto: don Giovanni, così e così, quelli del Pejo Milano sarebbero disposti a scucire del danè. Il prevosto sbatteva i pugni sul tavolo e quasi sfasciava il mobile di noce, incavolato come una biscia. No, Giuanin, per te ho altri programmi. Proprietario del cartellino e procuratore antemarcia, deciso e lungimirante, il prevosto veicolava il giovane calciatore dell’oratorio verso il Milan. Il dirigente milanista Tabanelli, giacca cravatta e impermeabile, piombava a Caselle Lurani in occasione della festa di San Giuseppe.

Il Milan è interessato, in società erano arrivate buone referenze sul ragazzo che corre per due e dispone di piedi non disprezzabili. Il provino al campo Scarioni. Il Basletta prendeva la corriera in partenza dal suo paese alle sei del mattino. L’altra si avviava a mezzogiorno, avrebbe rischiato troppo. Destinazione piazza Corvetto, poi il 93 fino a Lambrate. E a piedi al campo Scarioni. Nessun genitore al seguito, nessun parente. Un caldo boia, tanto sole da poterci arrostire bistecche. Unica faccia amica quella del prevosto. “Il fazzoletto bianco in testa con quattro ciocche. Il panno a mo’ di cappellino, alla maniera dei muratori. L’unica difesa possibile dal sole impietoso. E una frase: Gioanin, fammi fare una bella figura”. Provino dall’esito eccellente, Giovanni Lodetti promosso calciatore del Milan. Il prevosto passi alla cassa, centomila lire e una muta di maglie. Giuanin ritiene sia stato quello il giorno più bello della sua vita di calciatore. L’emozione più forte e intensa.

milan-1971bNove anni in serie A al Milan, 216 partite ufficiali condite con dodici gol e impreziosite da due scudetti, una coppa Italia, due coppe Campioni, una coppa delle coppe, un’Intercontinentale. Centodiciassette partite con la Sampdoria, sessantuno a Foggia, trentotto con il Novara. Campione d’Europa con la nazionale nel ’68, in piena rivoluzione studentesca. Quei meravigliosi anni Sessanta.

Il mio giorno più bello? Sarebbe facile dire quello del primo scudetto o della conquista della Coppa Campioni. Per me, il più bello è stato il giorno del provino alla Scarioni. Perché il treno passa solo una volta nella vita, o sali o resti giù per sempre”.

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Nils Liedholm

Al Milan, lui giovanissimo, incontrava due allenatori maestri di calcio. Mario Malatesta, inesauribile produttore di campioni, sotto di lui diventavano calciatori di successo Trapattoni, Salvadore, Noletti, Pelegalli, Trebbi e Ciapina Ferrario. E Nils Liedholm, il barone, ex calciatore svedese dal sinistro educatissimo e dalla tecnica sopraffina, uno del Gre-No-Li, il celebre trio nordico di uno storico Milan.

Liedholm si occupava della tecnica individuale dei ragazzini del Milan. Un istruttore sensazionale, quanto di meglio come maestro di calcio. Persona di grande intelligenza, immediato nei giudizi, strepitoso battutista, fornitore di meravigliosi paradossi, inventava per Basletta uno straordinario soprannome.

Bikila, avete presente? Il maratoneta etiope scalzo, vincitore a piedi nudi sui sampietrini di Roma antica ai Giochi Olimpici del ’60. Giuanin, in quel nomignolo, ci stava a pieno titolo. “La corsa non mi è mai pesata. E neppure la fatica”.

Gipo Viani con Rocco

Gipo Viani e Nereo Rocco

Centosessantamila lire il primo stipendio. Una conquista segnata dalla durezza. Lunga e pregnante. Aggregato alla prima squadra, doveva firmare il primo contratto col Milan nel ritiro precampionato ad Asiago. Al timone del club, due omoni che spargevano timore. Gipo Viani e Nereo Rocco, persone di spessore e di notevole caratura, competenti, scaltre. Uomini di calcio furbissimi nei rispettivi ruoli di direttore sportivo e allenatore.

Primo piano dell’albergo. Nella sala un tavolo enorme, come fabbricato su misura in omaggio all’imponenza e all’autorevolezza che si accompagnava alle figure di Viani e Rocco. Il giovane Lodetti entra nella stanza in punta di piedi. Buongiorno, signori. Nessuna risposta, i due continuano a leggere, gli occhi fissi sulla Gazzetta dello sport e sul Corriere della sera. Non se lo filano il Basletta. La scena va avanti per una decina di minuti. Giuanin impalato; muti Viani e il Paron.  “Rocco si decide, dopo un bel po’. Dice a Viani: Gipo, il mulo è arrivato, domandagli quanto è che vuole”.

Lodetti,_Giovanni_Europacup_II_finale_1968“Quanto vuoi?”, con voce e tono intimidatorio.

“Tre milioni, rispondo io, di getto. Tre milioni l’anno e l’ingresso nella rosa titolare”.

L’inserimento nella rosa significava essere di fatto titolare a tutti gli effetti e incassare l’ottanta per cento dei premi partita. Viani continua a leggere, ha occhi solo per la Gazzetta. “La rosa te la devi guadagnare e non ti diamo più di un milione. Prendere o lasciare”.

Una recita. La commedia dei due compari. Viani e Rocco teatranti e registi di un collaudato copione.  “Gipo, il mulo l’è bravo. Facciamo un milione  e mezzo”. Il Basletta firma, poi si rende conto che si è trattato di una recita. Una messinscena. “Avete presente i poliziotti nei telefilm americani? Uno ti molla uno schiaffo, l’altro ti offre una sigaretta”.

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Rocco con Lodetti e Trapattoni

Nereo Rocco, il Paron, gli voleva un bene dell’anima, ogni giorno di più. Gli parlava in dialetto veneto e anche in vernacolo triestino, quando l’uditorio fingeva di non recepire gli ordini.

A Natale i giocatori erano invitati a casa del presidente. Una sterlina d’oro il regalo canonico, per ogni calciatore della rosa. “Rocco mi prendeva in disparte: Giuanin, ce l’hai una  giacca e una cravatta per domani sera? Se non ce l’hai, te la presto io”. “Sì, ce l’ho, signor Rocco”. “Mettila che te fasso ciapar una medaglia anche a ti”. Un maestro inarrivabile gestore di anime e di umori, il Paron. Il primo allenatore ad aver capito il valore dello  spogliatoio. Parole e prosa di Cesare Fiumi, giornalista e scrittore, autore di una fortunata e godibile rubrica per il Corriere della Sera.

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Dino Sani

Uno choc, il debutto in serie A, a Ferrara. Lodetti prendeva il posto e la maglia di Dino Sani, classe 1932, basso, stempiato, scarsocrinito, l’aspetto di un impiegato del catasto, la pancetta. Ma due piedi che cantavano, presto soprannominato il cervello. Materia grigia, sale in zucca, piedi e testa capaci di disegnare meravigliose geometrie. Un professore anche in materia di balistica. Dirigeva e smistava palloni praticamente da fermo.

Rocco conosceva tutti i modi di trattare i giocatori, dal ruvido al tenero, e ne applicava i contenuti secondo esigenze e circostanze. “Senti, Lodetti, oggi abbiamo deciso di diventare matti. Ti facciamo giocare, poi arrangiati”. L’investitura, il debutto nella massima serie. A Ferrara vinceva il Milan, zero a tre. Non un’impresa, sentiva di poter dire il Basletta. Quel Milan impiegava davvero poco a vincere le partite, potendo schierare Rivera, Mora e Altafini. “Lo choc è dopo, il martedì nello spogliatoio dell’Arena. Cesare Maldini distribuisce i premi partita. Centomila lire a punto, per me sono centottantamila. Diciotto fogli rosa, salmoni grandi come tovaglioli”.

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Lodetti e Rivera in ritiro

Diventava a quel punto ostaggio della paura, si preoccupava fino a provare spavento. In tram con tutti questi soldi, e se qualche malintenzionato me li ruba? Evita di prenderlo, il tram. Giuanin se la fa a piedi fino a piazza Corvetto. Porta a casa l’incasso e lo consegna, a cena, a suo padre. Il genitore guadagnava quarantacinquemila lire al mese. Quei soldi, proprio tanti, provocano il brillio negli occhi di papà Lodetti. I diciotto salmoni contati uno per uno e lasciati sul tavolo.  “Dopo il sesto, mamma Maria già piangeva”. Bravo Giuanin, molto bravo, e il papà infilava i quattrini  nella tasca del pantalone. Mai più visti, neanche mille lire per il Basletta, che ci restava di sasso.  “Speravo che almeno un deca me lo lasciasse. Ma l’arrabbiatura mi è passata subito”.

Correva per tutti e mai dimenticava di ringraziare il calcio. Anche il Milan, ma non per sempre. Liquidato senza stile ad un certo punto della vicenda, si ritiene tuttora segnato da una  profonda ferita mai rimarginata. Sfregio e sgarbo gli procuravano per anni un gran male.

Estate 1970 Basletta in vacanza al mare, in Versilia. Il titolare del bar della spiaggia lo distoglieva dall’ombra confortante dell’ombrellone. Si conoscevano da anni, erano in confidenza. Giovanni, c’è una telefonata per te, è il Milan. Al telefono la voce gentile squillante inconfondibile di Rina Ercoli, la Rina, mitica segretaria del Milan, quarantadue anni al servizio della società. Una istituzione. “Giovanni, ti passo il tuo nuovo presidente”. “Carraro non c’è più?”. “Sì, lui c’è sempre. Sei tu che vai via, ti hanno dato alla Samp. Ti passo il presidente, l’avvocato Colantuoni”. “Mi è cascato il mondo addosso. Come finire sotto un macigno, schiacciato e stritolato”.

Lodetti alla Sampdoria, assieme a Marcello Lippi

Lodetti alla Sampdoria, assieme a Marcello Lippi

Alla Sampdoria dal Milan significava non giocare più per gli scudetti, staccarsi dalle coppe internazionali, salvarsi all’ultima giornata, nella migliore delle ipotesi. “Alla Samp, per i conti, impiegavano il bilancino. Il club praticava la politica della lesina”.

Rifiutare il trasferimento? Allora non si poteva, le regole non contemplavano il diritto, da parte dei calciatori, di dire no. Testa bassa e lingua dietro, erano tenuti ad accettare qualsiasi destinazione. Lodetti quasi si prostrava, inutile però la richiesta accorata rivolta a Carraro. Presidente, convinca l’avvocato Colantuoni a rinunciare. “Risposta: non posso, lei non è più un calciatore del Milan”.Una ferita, ampia e profonda, mai suturata. Bruciato a ventisette anni, il Milan senza una bava di tatto. E neanche uno straccio di telefonata. Né da Rocco e neppure da Rivera e da Trapattoni. E pensare che con il Trap stavano sempre insieme, l’uno ombra dell’altro. Li chiamavano le cocorite. “Mai nessuno potrà cancellare i miei dodici anni al Milan”.

L’Italia investita e attraversata dal boom economico. L’utopia del Sessantotto e la delusione bruciante del Basletta. Un’amarezza senza fine. La moglie Rita, donna di spessore e di eccezionale carattere, nel ruolo di infermiera, medico, psicologa. “Se non c’era lei, non so come sarebbe finita”. Giuanin e Maria si erano conosciuti ad una festa di amici, davanti a un juke-box. “Il mondo” di Jimmy Fontana la loro canzone. Diventerà il loro inno. Di tanto in tanto, capita che la cantino ancora. Attaccano a due voci.  “Il mondo non s’è fermato mai un momento…

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Fulvio Bernardini.

Come lui sui campi di calcio, uguale e preciso. Salute, fede e famiglia le sue fortune. Genova, sponda Samp, allenava Fulvio Bernardini, il dottore. Quattro anni in Liguria, da pascià, dal ’70 al ’74.  Un gran signore il dottore e allenatore, che nominava il Basletta capitano della squadra.

E lui non smetteva un istante di correre, anche per il suo amico Luisito Suarez, esiliato dall’Inter a Genova. Marcello Lippi il libero. Del fiato infinito di Lodetti si giovava anche Loris Boni, che sembrava destinato alla luce e non uscirà dall’ombra. “Mi sono trovato bene. Il ricordo più bello il premio dei tifosi al migliore giocatore doriano della stagione. Ho ritirato con piacere quello che Antonio Cassano si è rifiutato di ritirare

Bernardini, persona in possesso di grande tatto, tra una cosa e l’altra, gli raccontava come e perché lui era approdato alla Samp. Il Milan, da mesi, faceva una corte serrata a Romeo Benetti. Aveva offerto invano Trapattoni, Sormani, Malatrasi. Scambi impossibili, Bernardini irremovibile. “L’affare si fa solo ci date Lodetti”. Bisognava quindi sacrificare Basletta. Era lui l’unica merce valida e accettata per lo scambio. Il Milan egoista e irriconoscente verso il più generoso dei suoi calciatori. Il brusco licenziamento a provocare la ferita insanabile e ad annunciarne un’altra. Profonda, dolorosa,  irreparabile anche’essa.

Mazzola, Valcareggi e Rivera

Mazzola, Valcareggi e Rivera

Campionato del mondo 1970, in Messico. Giuanin Lodetti praticamente preso a schiaffi dal selezionatore Ferruccio Valcareggi e da Walter Mandelli, il capo spedizione. Manrovesci in serie, ambiguità e quant’altro pur di escluderlo dalla spedizione italiana ai Mondiali.

Una storia di mezzo secolo fa. Pietruzzu Anastasi si fa male, vengono convocati Boninsegna e Pierino Prati. Due per un posto. Ma al Milan tutti sanno che Prati è infortunato alla caviglia e non è in grado di giocare. Infatti non giocherà neppure un minuto. Sandro Ciotti, popolare radiocronista, the voice, il migliore al microfono, espone i suoi dubbi a Lodetti. Se hanno chiamato uno del Milan e uno dell’Inter, non credo che toccherà a uno del Milan o dell’Inter di rientrare in Italia. “Speriamo di no”. I test in altura indicano Lodetti come uno dei più resistenti alle complesse problematiche legate all’altitudine del Messico. E le cose sembrano mettersi al meglio, sera dopo sera. Basletta a cena con Enzo Bearzot, quasi sempre. Figurati, Giuanin, se vai a casa tu poi chi corre?

“Una persona onesta, Bearzot. Non sapeva nulla, come me. La vicenda è nata in casa Milan. Io capisco tutto quando il massaggiatore Tresoldi comunica che i capi volevano parlarmi”. Lodetti, ti aspettano al piano di sopra. La moglie Rita ha telefonato intanto dall’Italia. “Sei tu l’escluso. Non le credo”.

 Walter Mandelli

Walter Mandell

Lodetti raccomanda ai compagni di stare sereni. Tranquilli, hanno scelto me. E infila la porta d’ingresso della stanza, dove lo attendono Valcareggi, il capo delegazione Mandelli e il dottore Fino Fini. Ci spiace, Lodetti, siamo addolorati, ma siamo costretti a tagliarti. E via con gli zuccherini della falsità e delle coscienze pelose ad indorare l’amara pillola. Stai sereno, non ti preoccupare, convoca tua moglie in Messico. Sarete ospiti della federazione ad Acapulco per l’intera durata dei Mondiali. Vacanza pagata e tu riceverai lo stesso premio che daremo agli altri.

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Mazzola, Rivera, la staffetta di sei minuti

Il Basletta rovescia di tutto addosso a Mandelli e Valcareggi. Un’eruzione di espressioni forti. “Siete delle facce di merda, non si può umiliare così la gente brava e perbene. Io torno in Italia col primo volo”.

Non riesce a capire, tantomeno può giustificare perché scelgono Prati zoppo e non lui. Dubbi e domande si affollano nella sua testa. Forse ho sbagliato qualcosa, ho mancato di rispetto a qualcuno? No, andava d’accordo con tutti e da tutti era benvoluto.  “Un’ingiustizia, brutta e cattiva. Io umiliato, Rivera lo stesso con quei sei mortificanti minuti della staffetta con Mazzola. E non potevo immaginare che quello sarebbe stato solo il primo tempo del film che mi avrebbe cambiato la carriera e la vita”. La cessione alla Samp come trama del secondo tempo di quel film.

Gianni Rivera

Gianni Rivera

Terminata la pellicola, andava in scena una sorta di terzo atto di una commedia italiana. La ferita definitiva brucia ancora la cute di Lodetti. Uno sbrego che mai ha cessato di procurargli intenso dolore. Gianni Rivera vice presidente del Milan, poi reggente della presidenza. Sprofondato nella melma del totonero, lercio puzzolente spaccato della storia del calcio in Italia, Felice Colombo, inibito dalla giustizia sportiva, non poteva più ricoprire la carica di presidente. Rivera al vertice del Milan, alla cloche del club, sul ponte di comando. Il  presidente pienamente operativo.

Lodetti telefonava a Rivera, che in carriera aveva goduto del fiato e delle corse del maratoneta. Il Basletta volentieri si sarebbe industriato come allenatore dei ragazzini. Veniva dal calcio dell’oratorio, era convinto di avere la vocazione. “Sarei stato un buon allenatore dei ragazzi”. Sognava di poterli convocare, i giovanissimi aspiranti calciatori, alle sette del mattino in una qualsiasi stazione della metro. Ne avrebbe richiesto l’attenzione verso le centinaia di persone in attesa del treno per andare al lavoro. “Ragazzi, guardate loro, guardateli. Questi fanno i sacrifici, non voi”.

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“Allora, Gianni, che mi dici?” Risposta fredda, una non risposta. Poi, il silenzio, lungo tre mesi. “Il presidente Rivera affida l’incarico a Ciapina Ferrario. Finisce lì, con Gianni ho chiuso. Senza rancore e senza il desiderio di richiamarlo o rivederlo”.

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Rivera e Bulgarelli

Si rivedevano dopo trent’anni. Un incontro casuale, avvenuto all’insaputa di entrambi. Fuori Bologna, a Portonovo di Medicina, il luogo di nascita di Giacomo Bulgarelli. Il grande Giacomino, calciatore cerebrale e geometrico, sublime regista, consumato e stroncato da un tumore. I campioni di un tempo, colleghi di Bulgarelli, c’erano tutti a Portonovo di Medicina, che intitolava il campo di calcio al suo famoso figlio. Giacomino è una gloria, in Emilia. Un dovere esserci, per Lodetti. L’amicizia, se vera, e incontaminata, questa è. Anche Rivera non poteva esimersi. “Giacomo era stato mio testimone di nozze e io il suo. E così con Rivera abbiamo ripreso a parlare”.

Smetteva di frequentare il calcio. Preferiva correre su altri prati, al Parco Trenno, Milano Nord. Tanto per non cancellare la vocazione e l’abitudine alla corsa. Quando poi gli tornava la voglia della competizione, andava a giocare a tennis. Un pallettaro, il signor Giovanni Lodetti. Diritti, rovesci, e non fermarsi mai.

Galeotto il footing al Parco Trenno. Interrompe la corsa e si ferma vedere una partita di ragazzi. Il suo punto di osservazione dietro la porta. Chiede al portiere se fanno giocare anche lui. Il ragazzo gli sbatte in faccia una gran risata. E gli dà del vecchietto: ma non vedi che siamo tutti giovani, cosa entri a fare? Sorride il vecchio Giuanin, e insiste. Stanchi di averlo nelle orecchie, i giovani lo ammettono alla partita. “La squadra è in dieci e sotto uno a quattro. Finisce quattro a quattro. Me la sono cavata bene”. I giovani stupiti da tanta corsa, Basletta non si è mai fermato. Come ti chiami? “Ceramica”. Ceramica? Proprio così. Il cognome falso, dal nome della pubblicità che Giovanni Lodetti espone sulla giacca a vento. “Non volevo fare il bauscia”.

c3bf576c2a65c0d82c894fdddc0e5ee9-79583-1365149523Primavera dell’82. Lodetti sotto mentite spoglie gioca due anni con la squadra dei giovani calciatori amatori, che potrebbero essere tutti suoi figli. Ogni sabato alle 9:30, al netto di cataclismi o catastrofi naturali, con il sole e con la nebbia, il campo intriso di pioggia e magari con chiazze di nera acqua piovana, e di fango. Al Parco Trenno gli fanno trovare le scarpe da calcio numero quarantadue con i tacchetti di gomma.

Ma la signora Rita, la moglie? Giuanin le vende il torrone, racconta che va a giocare a tennis. Dura fino a quando da quelle parti non passa un anziano signore in bicicletta, che squadra il Basletta dalla testa ai piedi. “Ragazzi, sapete chi è quello lì? È uno del Milan, l’ho visto annullare Bobby Charlton”. Fine dell’anonimato, complice l’incrinatura di quattro costole. Ceramica Lodetti dirottava sul tennis, questa volta in esclusiva.

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Helenio Herrera, il mago

Il calcio di Giovanni Lodetti, lumbard della Bassa Lodigiana.Trecentocinquanta partite in serie A, centodiciassette consecutive, e quelle due ferite da epistassi irrefrenabili, che ancora sanguinano. Il calcio dell’altro ieri, dei gregari come Prini e Capra, sbucati dall’ombra per diventare protagonisti. Campioni d’Italia rispettivamente con Fiorentina e Bologna. Una geniale perfida invenzione di Bernardini quel Capra ala tattica a rovinare il pomeriggio romano di Helenio Herrera. Il mago di uno scudetto mancato, quel giorno nello spareggio allo Stadio Olimpico. Prini e Capra, l’ala tornante e l’ala tattica, due trovate tattiche di Bernardini.

Largo ai secondi, spalle insostituibili dei primi attori. Antonio Girardo di Monticello Conte Otto, Alessandria. Piedi rozzi ma il cuore grande come una piazza e una tigna pazzesca: con la maglia del Napoli riusciva sistematicamente ad annullare Rivera. Gregari, ma non come quelli che appartengono all’alta nobiltà della specie. In realtà primi attori anche loro, non secondi: i campioni del mondo Lele Oriali e Rino Gattuso.

Il dolce e gli schizzi di amaro di Lodetti tra i sapori degli anni Sessanta e Settanta. I consumi di massa, l’urbanizzazione, l’Italia in Vespa. E in Lambretta, due milioni di esemplari nel Paese, un fenomeno di costume. La 600 Fiat come oggetto di desiderio degli italiani. La cambiale. L’automobile che sfida il treno, Alfa Romeo Giulietta spider e il Settebello in competizione sull’autostrada, da Roma a Milano. Al volante dell’auto il pilota Sanesi. Il Settebello impiega sei ore e ventotto minuti, trentotto in meno l’auto, a centodue chilometri di media.

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Martin Luther King

I Beatles, Bobby Dylan, Elvis Presley, Jim Hendrix, Mary Quant e la minigonna, la rivoluzione studentesca, Nelson Mandela in carcere, la Primavera di Praga, la corsa allo spazio, il raduno hippy a Woodstock, e Martin Luther King. Duecentomila persone marciano con lui su Washington. Chiedono l’integrazione razziale. Una marcia pacifica. “Gli anni più belli del secolo, non solo per il calcio. Questa è l’opinione di uno come me che non ha studiato. C’era più lavoro, più speranza, più passione, e nell’aria qualcosa che oggi non c’è più”.

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Niang, la Ferrari distrutta

Riflessioni dolenti, non riverberi del bel tempo che fu. Noi anziani, talvolta posseduti dalla nostalgia, malati un tantino dei tempi andati, siamo portati a considerare il passato migliore del presente. Giuanin Lodetti e il calcio d’oggi. Per lui vi regna l’egoismo, solo quello, come nella vita. Arrivismo e punto.  “Il totonero, le scommesse, gli scandali: oggi il calcio ha tutto, non si nega nulla, Anche i calciatori sembra abbiamo tutto, ma non la passione”. Aveva impiegato due anni per farsi una 600.Niang, un ragazzo, l’ipotesi di un calciatore, aveva il Ferrari appena arrivato a Milano”.

Generoso realista, il Basletta ha vissuto sempre nel suo brodo, peraltro abbondante e saporito. Mai pensato di diventare come Rivera. “Ma ho dato tutto per essere bravo come gli altri”. Il palmarès parla e conferma: ci è riuscito in pieno. Ha giocato con la stessa passione che aveva all’oratorio. Fiero e orgoglioso di essere additato quando prende la metro. “Mi riconoscono: ecco Lodetti, quello che correva per Rivera”.   Il piacere del lavoro oscuro come grande dote e prezioso patrimonio. Un distintivo, il marchio di fabbrica, il copyright.

 “Dentro i secondi” di Franco Esposito e Dario Torromeo”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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