di Franco Esposito
Matteo Renzi uno e due. In politica le espulsioni non gli piacciono. Rottama, ma non espelle nessuno. Mai epurazioni, la scelta enunciata come un mantra politico, gridato dai palchi e ribadito nel social. “No espulsioni”, da quando è diventato leader politico, prima ancora di prendere posto sulla poltrona di presidente del Consiglio.
Ma come si regolava l’arbitro Matteo Renzi quando dirigeva partite di calcio nel Pisano? Storie di vent’anni fa, 1994 e dintorni. Bene: il direttore di gara di Rignano sull’Arno aveva il cartellino rosso facile. Espelleva senza porsi il problema.
Un arbitro severo, Matteo Renzi, che alla partita si faceva accompagnare dal padre Tiziano alla guida dell’utilitaria di famiglia. Il futuro sindaco, poi segretario del Pd, oggi capo del Governo, in divisa d’ordinanza, giacchetta e pantaloncini neri, sui fangosi e gibbosi campi di seconda categoria. Stadioli improbabili, i sapori forti dei derby, calcio ruspante assai, ironia greve, insulti, un piccolo mondo un po’ così. “Sei chilometri di curve della vita”, per dirla con una canzone di Samuele Bersani.
Fior da fiore di Renzi arbitro dall’archivio del Tirreno, il quotidiano un tantino sinistrorso, la redazione centrale a Livorno, il cuore delle vendite nel sud della Toscana. Stagione calcistica 1994-95, campionato seconda categoria, girone E. Due partite, Serrazzano-Sasso Pisano 3-0, arbitro Renzi di Firenze, note. Espulso Cheli al 49’. E Saline-Guardiastallo, 2-1, arbitro Renzi di Firenze. Note: espulsi Tranchina all’83’ e Riccucci al 93’.
Due gare, tre espulsioni, se non è un record manca davvero poco. Matteo Renzi, da arbitro, aveva il rosso facile. Spiccio, come dicono dalle sue parti, in Toscana.
L’archivio parla, informa, e non tradisce punto. Matteo Renzi, al tempo, vestiva appunto di nero e custodiva nel taschino il tesserino rilasciato dalla sezione Aia di Firenze. Aveva diciannove anni e non viaggiava in elicottero, ovvio. Un’esperienza breve, ma intensa, quello di arbitro di calcio. Forse la più breve e la meno riuscita nella carriera dell’implacabile rottamatore che in politica si nega all’espulsione. La parola non rientra nel dizionario del presidente del Consiglio. Renzi l’ha tenuta fuori anche nella vicenda Mineo, il Corradino dissidente sostituito in Commissione Affari Costituzionali al Senato. Il provvedimento a provocare l’autosospensione di tredici senatori del gruppo.
Il no alle espulsioni in politica è considerato come una sorta di filosofia di vita. Il cartellino rosso facile sui campi di calcio a provare il decisionismo del futuro leader. Massimo Gramellini, giornalista colto e ironico, scrittore di libri e titolare della rubrica quotidiana “Buongiorno” su La Stampa, ne raccolse le confidenze in un’intervista. È passato qualche anno, da allora, e il contributo dell’archivio permette ora di ricostruire e rammendare la breve carriera dell’arbitro Matteo Renzi.
La conferma in centottanta minuti. “Fermezza impressionante, è uno che sa farsi rispettare”, il giudizio espresso dal commissario Aia che andò a vederlo all’opera. Renzi superò brillantemente l’esame e passò poi a disposizione del comitato regionale toscano per le partite di seconda categoria. Abile e arruolato. Il possesso del tesserino dava libero accesso alle partite di serie A. Ma non risulta che Matteo Renzi l’abbia sfruttato con continuità tifosa, non mancando mai di esporre la propria fede calcistica. È tifoso della Fiorentina.
Tre espulsioni in due gare. Il derby volterrano, un affare serio, la partita Saline-Guardiastallo, 25 settembre 1994. Matteo Renzi, l’arbitro ragazzo, si prende un quarto d’ora di celebrità. La classica botta di vita, postuma ad un’altra sua memorabile esibizione.
Mesi prima, dagli studi di Cologno Monzese, l’incredibile Matteo girò la “Ruota della Fortuna”. Cinque puntate e una vincita complessiva di 48 milioni delle vecchie lire. Di lì a qualche settimana, febbraio del ’94, l’imprenditore lombardo Silvio Berlusconi decideva di scendere in campo. Al centro del campo della politica. Si sarebbero incontrati anni dopo in una famosa cena ad Arcore.
“Che quell’arbitro che mi buttò fuori fosse Renzi non lo sapevo”, si abbandona, a richiesta, ai ricordi Riccardo Tranchina, oggi imprenditore edile. Ai tempi, però, micidiale attaccante del Saline. Per lui, rosso diretto, Renzi gli indicò perentorio il percorso verso le docce. “Ricordo l’episodio: saltai di testa e secondo lui allungai troppo il gomito. Protestai, ma non ci fu verso. Ci rimasi di cacca, in carriera non avevo rimediato mai un rosso diretto. Sono stato sempre un giocatore corretto. Quell’arbitro aveva carattere e l’ha mantenuto poi anche nella vita”.
Decisionismo non solo, anche l’esigenza di essere equilibrato. O meglio riequilibratore arbitrale, prima d’inventarsi rottamatore. Espulso l’incredulo Tranchina, Matteo Renzi sventolò il cartellino rosso anche a Massimiliano Riccucci, solido difensore del Guardiastallo. Quarantaquattro anni oggi, artigiano nel Livornese. Minuto 93, quel derby ormai era finito. “Ora posso però raccontare di essere stato espulso da uno degli uomini più importanti d’Italia. Anche se non sono un suo elettore. Il reato da me commesso in campo? Un fallo in area”.
L’arbitro Renzi di Firenze, quattro mesi dopo, fu precettato per il big match di categoria. Aveva compiuto da poco venti anni. Partita Serrazzano-Sasso Pisano, una grande contro una piccola. Il dirigente Maurizio Camici ha un ricordo lucido e preciso di quella gara. “Troppo forti noi, avevamo attrezzato una squadra da promozione. Tre a zero con una formazione rimaneggiata”. Ma Renzi in tutto questo? Si rese protagonista, lasciando il segno nel tabellino, lui che di lì a poco sarebbe entrato nei vertici provinciali della Margherita.
“Siamo al 49’, ricorda il dirigente Camici, e il difensore avversario Cheli si lascia andare ad un’entrata bruttissima. Un fallaccio. Renzi non ha dubbi: ancora rosso diretto”. Oggi Cheli, quarantatre anni, è volontario della Pubblica assistenza in Val di Cecina. E con il suo cane Teo si è specializzato nella ricerca delle persone scomparse. “Mi buttò fuori un arbitro perfetto sconosciuto. A distanza di venti anni posso dire che fu una decisione giusta”.
Quella fu l’ultima partita diretta dal giovane arbitro Matteo Renzi di Firenze. Già impegnato con lo studio e con le Acli, lasciò la tessera dopo un anno e mezzo.
“Aveva la sua missione”, ricorda Raul Giannelli, arbitro benemerito e direttore del corso a cui Renzi partecipò negli anni ’90. La precedente vita del futuro premier, allora dal cartellino rosso facile, oggi contrario alle espulsione. La politica cambia gli uomini, li stravolge. Guanti di pelle di che si lasciano rivoltare per mero interesse.