Enzo La Penna

Enzo La Penna

Giornalista. Lavora all’agenzia Ansa. Ha collaborato con i quotidiani Napolinotte, Paese Sera e La Stampa

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Cutolo, carcerato a vita

Quando gli chiedevano se prima o poi si sarebbe deciso a parlare, magari svelando i segreti dei rapporti ambigui con apparati dello Stato, rispondeva dalla gabbia con un sorriso sardonico. ”Io faccio il carcerato…”. 
Lo stesso sorriso con il quale voleva lasciar intendere, mentendo, che fosse egli stesso il vero autore della canzone che ispirò a Fabrizio De Andrè, quella sul boss detenuto che dalla cella dispensa consigli e favori. Certo se c’è qualcuno che il mestiere di carcerato lo conosce alla perfezione è proprio lui, Raffaele Cutolo, non fosse altro perché il boss di Ottaviano, fondatore e capo della Nuova camorra organizzata, di anni dietro le sbarre ne ha trascorsi finora ben 48, che è un primato o poco cu manca.

Si ignora infatti se esista da qualche parte, magari negli archivi del ministero di via Arenula, una graduatoria sulle detenzioni di maggiore durata, ma in ogni caso appare difficile che possa essere insidiato il poco invidiabile record di don Rafé, soprattutto in considerazione del fatto che la condanna all’ergastolo, il terribile ”fine pena mai” come recitano gli statini dei penitenziari, esiste solo sulla carta.

Tanto che feroci assassini, così come terroristi e stragisti condannati al massimo della pena, sono tutti usciti nel corso degli anni o sono adesso in semilibertà beneficiando di premi  di “buona  condotta”.

cutolo2                                                                                                                                                                                                                                                                                                         Nell’Italia  perdonista,   insomma, Cutolo è forse il solo a pagare per intero il prezzo per i suoi crimini. Che sono poi davvero tanti e efferati, e talmente gravi da giustificare il carcere a vita.
Quando si parla di lui, un camorrista che ha emesso centinaia di sentenze di morte e che ha dato origine tra gli anni Settanta e Ottanta a una guerra da clan degenerata in orribile carneficina, occorre sempre stare attenti al rischio di incorrere nell’agiografia, a causa del carisma e dello spessore criminale del capo della Nco, al cui confronto impallidiscono altre figure di primo piano della criminalità.
Cutolo ha sempre ostentato la sua inclinazione al comando, compiacendosi in atteggiamenti ora spavaldi ora tracotanti. Con un pm che intendeva interrogarlo, tagliò corto: ”Io sono Cutolo, non dovete mandarmi un sostituto ma il procuratore in persona”. Fu in carcere, dove era detenuto per aver ucciso un passante nel corso di una lite per motivi di viabilità, che pose le basi per la fondazione della Nco. Le fila dell’organizzazione si ingrossarono ben presto grazie al sistema escogitato dal boss di Ottaviano: pagare gli ”stipendi” ai detenuti e alle loro famiglie con i proventi delle estorsioni. Poi, quando si convinse che la banda era ormai diventata un esercito, passò all’attacco degli altri clan. Impose il pizzo ai camorristi di altre ”famiglie” per ogni cassetta di sigarette scaricata dai contrabbandieri di Santa Lucia. Una sfida, che sui lunghi tempi, si risolverà in una sconfitta senza appello: contro la Nco si consorziarono, nel cartello della Nuova Famiglia, tutti gli altri clan della città e della provincia. I morti – tra il 1978 e la prima metà degli anni Ottanta – si contarono a centinaia, un massacro che si concluderà con l’eliminazione fisica di luogotenenti e soldati e con il ”pentimento” dei sopravvissuti. Lui no, non ha mai collaborato, né ha dato cenni di cedimento la sua condizione di irriducibile. Per anni si è illuso di poter ottenere vantaggi, grazie ai segreti di cui era a conoscenza sulla trattativa triangolare tra Stato Brigate Rosse e camorra per la liberazione dell’assessore democristiano Ciro Cirillo. Nelle ore immediatamente successive al rapimento i vertici del Sisde e del Sismi (gli ex servizi segreti civile e militare) ritennero che Cutolo era il solo a poter esercitare pressioni sulle Br per costringerle a rilasciare l’ostaggio. Fu il riconoscimento ai più alti livelli del potere criminale raggiunto all’epoca del boss di Ottaviano. Di quella trattativa, una volta franati gli assetti della Prima Repubblica, si è ormai saputo tutto o quasi. E a Cutolo è venuta ormai a mancare l’ultima arma che aveva per ottenere qualche vantaggio. Nonostante gli anni, dovrà dunque continuare con il suo mestiere, l’unico che conosce: quello di carcerato.

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