Lidio Aramu

Lidio Aramu

Si è occupato sostanzialmente di agricoltura e di marketing agronomico, ha collaborato con quotidiani e periodici. Ha scritto tre libri

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Il mare non bagna i Palazzi

“Basta ca ce sta ‘o sole, ca ‘nce rimasto ‘o mare, na nénna a core a core, na canzone pe’ cantá…”. Quante volte abbiamo canticchiato questo ritornello, magari sulla spinta di delusioni più o meno cocenti.

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La tavola Strozzi

Tante, tantissime volte. E lo abbiamo fatto collettivamente ed in modo compulsivo, fino a far diventare la sostanza del refrain una sorta di filosofia di vita. Una concezione che impedisce ai più di prendere coscienza dei problemi che affliggono la città e di reagire adeguatamente. Tanto si sa: i politici sono tutti mariuoli, gli imprenditori in realtà sono soltanto dei “prenditori”, la giustizia non è mai certa e giusta, il proletariato non avrà riscatto e se ne frega. Un inaccettabile fatalismo che si esprime in questa semplice e raggelante proposizione: “Napule è chesta e nun cagnarrà maje”. Sembra che tutto ci scivoli addosso senza lasciar tracce. E per quel tutto non s’intendono cose di poco conto.

Pensiamo a cosa sta accadendo al Porto e a qual è il sentimento popolare nei confronti  di questa triste ed ignobile vicenda. Per un’ordinaria storia di mala gestione – se provata – alla fine dello scorso anno, la Procura della Repubblica di Napoli a seguito d’indagini ha emesso 4 ordinanze cautelari di divieto di dimora nei confronti dell’ex presidente-commissario dell’Autorità portuale, Luciano Dassatti, del dirigente Stefano Porciani, e degli imprenditori Pasquale Legora De Feo e Anna Ummarino. Le accuse turbativa d’asta e truffa.

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Luciano Dassatti

La decapitazione dell’Ente portuale ha imposto quindi al ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Maurizio Lupi, la nomina di un nuovo Commissario straordinario dell’Autorità portuale di Napoli, individuato nella persona dell’Ammiraglio Felicio Angrisano, comandante generale delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera. Incarico ormai in fase di esaurimento. All’atto della nomina di Angrisano, lo stesso ministro sollecitava gli enti locali competenti a portare avanti le procedure per la nomina del Presidente dell’Autorità. Più che di procedure avrebbe dovuto parlare di lotta all’arma bianca condotta da partiti e vertici istituzionali per occupare l’ambito posto di comando. Quella stessa lotta che, di fatto, ha ingessato la governance dell’importantissima infrastruttura che, per numero di addetti diretti e dell’indotto, si configura come l’ultima grande industria partenopea ancora in servizio permanente effettivo. Come sempre accade in questi casi, le operazioni di bassa politica vengono precedute e sommerse da un profluvio di vuota retorica. A Napoli la verità non è mai quella che appare, occorre andare a cercarsela. Le immagini simbolo della città s’identificano in genere in un brandello di paesaggio marino o nelle particolarità architettoniche che si ritrovano nell’intricato reticolo di vicoli e piazze del centro storico. In entrambi i casi però le prospettive ed i luoghi rappresentati mostrano una realtà di superficie. Pura oleografia rimasticata per esaltare il valore turistico delle amenità paesaggistiche e monumentali della città. Se invece volessimo raccontare significativamente con una sola immagine le ragioni della sua conformazione, dell’economia e della stessa fondazione della città, occorrerebbe mutare l’asse prospettico terra/mare in quello mare/terra.

Ne verrebbe fuori una sorta di riproposizione in chiave moderna della famosissima “Tavola Strozzi”. E come guardando l’originale quattrocentesca tavola di Francesco Rosselli, salterebbe subito all’occhio la posizione di primissimo piano occupata dal porto il quale dà quasi l’impressione di costituire l’architrave su cui poggia la città stessa, la chiave di volta del suo sistema economico. La Storia è maestra di vita, ma non per tutti e men che meno, quando in buona fede, per le classi dirigenti della città. Nella migliore delle ipotesi ci si sofferma ad ammirare le testimonianze del passato come se fossero pure espressioni artistiche senz’anima. Eppure basterebbe poco osservando ciò che resta degli storici edifici del porto per comprendere una lezione fondamentale: Napoli è nata dal mare per vivere del mare. Molti sostengono che pur spalmata lungo la linea di costa, la città abbia tratto dalle attività a terra il proprio sostentamento.

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In realtà non è così. Le sue fortune sono strettamente legate al porto e questo alla funzione che i governanti intesero assegnarle nel corso dei secoli. Dopo la conquista del Regno nel 1442, a proposito della tavola Strozzi, Alfonso intendeva incardinarne il sistema portuale in una sorta di mercato comune degli stati della Corona d’Aragona. Un’area di scambio autarchica ove era proibita l’importazione dei prodotti stranieri e ai mercanti sudditi dovevano, per il trasporto delle merci, servirsi dei mezzi di trasporto nazionali ed in cui vigeva l’obbligo per i paesi iberici di approvvigionarsi di grano esclusivamente in Sardegna, Sicilia e Napoli.  Furono fatti così massicci investimenti per l’ammodernamento dello scalo e per la costruzione di navi mercantili di grande tonnellaggio per contenere i noli. Qualche tempo dopo, Carlo di Borbone con l’Editto del 18 agosto 1741, tratteggiava lo straordinario potenziale di risorse e la fondamentale importanza del Mediterraneo per l’economia e le comunicazioni dei Regni di Napoli e di Sicilia. Per dare un senso concreto all’idea del grande emporio commerciale del Mediterraneo diede inizio ad importanti lavori di adeguamento delle strutture e della stessa configurazione del porto di Napoli mentre lungo la costa ad oriente si costituiva un primo polo industriale con l’insediamento delle “fabbriche del Ponte”. Aumentarono le esportazioni e la presenza permanente del naviglio straniero testimoniava la rilevanza raggiunta da Napoli nell’economia marittima mediterranea.

Poi arrivò l’evo oscuro della colonizzazione savoiarda fatto di emigrazione, emarginazione ed appuntamenti mancati. Negli Anni Venti, per volontà di Mussolini che intendeva riaffermare la vocazione mediterranea di Napoli, il porto con un investimento di circa 200 milioni di lire raggiunse l’attuale dimensione e, contestualmente, fu ingrandita per estensione e numero di fabbriche, l’area industriale orientale. In tutti e tre periodi citati, la città fu oggetto di grandi trasformazioni urbane. Vide il progredire dell’agricoltura, dell’industria e dei commerci marittimi e terrestri, il fiorire della cultura in tutti i campi delle attività umane: le arti figurative, la giurisprudenza, la letteratura. Sono trascorsi tre quarti di secolo dalla conclusione del Secondo conflitto  mondiale, son mutate le tecnologie, le infrastrutture ed i sistemi di trasporto, ma il porto è ancora quello, con moli e banchine inadatte a ricevere le moderne navi. Un’arretratezza strutturale riassunta visivamente dalla patetica immagine delle grandi navi da crociera che sovrastano quella che una volta era definita, non senza enfasi, la monumentale Stazione Marittima del Littorio di Cesare Bazzani. Il mare, inutile dirlo, non bagna i palazzi istituzionali di Napoli. L’assessorato al Mare, che avrebbe dovuto rivestire un ruolo fondamentale per l’integrazione porto/città, in realtà ha fatto una fugace apparizione al Comune, con l’amministrazione Bassolino, e alla Provincia con quella di Cesaro. Tuttavia quello provinciale, grazie al personale impegno dell’assessore Marco Di Stefano e degli Enti preposti, è riuscito a formulare il nuovo Piano Regolatore del Porto. Uno strumento in grado di dare modernità e nuovi impulsi vitali all’infrastruttura. La Regione, a tal fine, ha reso disponibile ben 335milioni di euro di fondi comunitari. C’è il progetto, ci sono i soldi, eppure sono trascorsi circa tre anni ma continua a non muoversi foglia… Evidentemente non basta. Occorre definire una funzione per Napoli, individuare di che cosa dovranno campare le future generazioni di napoletani. E non bisogna fare molta fatica: il destino di Napoli era, è e deve essere mediterraneo. Dall’altro lato dello stretto braccio di mare, magmaticamente, cresce la quarta economia del pianeta. L’economia della sponda sud del Mediterraneo. Quella sponda con cui Napoli si è relazionata nei secoli e per la quale potrebbe assumere il ruolo di cerniera con l’Europa. Utopie, sogni dato che i massimi vertici della politica invece di lottare senza esclusione di colpi per rendere concreto il nuovo strumento urbanistico portuale, continuano a dilaniarsi tra loro per mere questioni di potere. E tutto ciò in un contesto economico da brividi: caduta a picco dei consumi, indici di disoccupazione giovanile altissimi, incremento dell’indice delle famiglie in stato di povertà, riduzione del potere d’acquisto dei salari e degli stipendi mentre dal popolo inerte sale verso l’azzurro cielo il canto della rassegnazione, della morte della speranza:… Simmo ‘e Napule paisà!…

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