Giuseppe Crimaldi

Giuseppe Crimaldi

Giuseppe Crimaldi, 54 anni, giornalista, scrive di cronaca nera e giudiziaria per Il Mattino. Autore del volume "Napoli è servita" e coautore dei libri "Il Casalese", "Al mio Paese - Sette vizi, una sola Italia" e "Mafie". Dirige il sito della Federazione delle associazioni italiane antiracket la rivista online "Lineadiretta". Collabora come docente al Master di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa.

Il suicidio delle indagini  
Impiccagioni fantasiose, omicidi per “errore”: la lunga lista di casi irrisolti   
di Giuseppe Crimaldi

Il suicidio delle indagini

di Giuseppe Crimaldi

Quando su un circuito si fanno gareggiare una Lamborghini e una 500 allora vuol dire che la corsa nasce già truccata. Non vale. E’ come se nei gironi di qualificazione per la Champions si mettessero di fronte il Poggibonsi e il Barcellona.

Eppure quello che appare intuitivo nell’esemplificazione dell’immaginazione riesce invece a scavalcare i classici confini della realtà di ogni giorno quando parliamo della giustizia in Italia: perché qui il criterio del motore a due velocità si sublima nei casi che sono sotto i nostri occhi, e che spesso fingiamo di non vedere.

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Il “suicidio” della Cesare Pavese

Qualche giorno fa – martedì 22 aprile – all’interno di una scuola media di Napoli, la “Cesare Pavese” di via Domenico Fontana, è stato trovato il corpo senza vita di un uomo. Si chiamava Roberto Calenda, aveva 45 anni e penzolava con una corda al collo dalla balaustra delle scale antincendio.
“Suicidio”, ha sentenziato il medico legale di turno chiamato sul posto dalla polizia. Senza nemmeno aspettare il risultato dell’autopsia un po’ tutti – investigatori, inquirenti e altri addetti ai lavori – si sono affrettati ad anticipare il giudizio sulle cause di una morte che, invece, avrebbe meritato una qualche maggiore prudenza: non solo perché quel pover’uomo era stato trovato impiccato con le mani legate dietro le spalle, ma anche per il fatto che le piante dei piedi poggiavano addirittura a terra, sul terreno. Come ci si possa uccidere così, qualcuno poi dovrà spiegarcelo…

suicidioMa Calenda era uno dei tanti poveri cristi che popolano il sottobosco di quell’umanità con la quale la giustizia oggi è impietosa. E poi era tossicodipendente: come se questa stigmata possa trasformare una vittima in un morto di serie C.
Di Roberto Calenda ce ne sono tanti, tra i vivi destinati a fare una brutta fine come tra i “già” morti. Una pletora di anime vaganti che ancora aspettano – inquiete e perse in quella sorta di empireo giudiziario nel quale indagini a volte frettolosamente liquidate li hanno relegati – il compimento del percorso della verità e che per loro venga fatta giustizia.
Sono decine e decine i casi di delitti irrisolti. Uno dei brutti vizi di noi cronisti di nera e giudiziaria è che, forse perché presi dal vortice della quotidianità delle notizie, finiamo col dimenticare di riaprire questo libro nero. Che fine ha fatto il fascicolo sull’omicidio di Ciro Elia, trovato agonizzante alla fine del 2011 sulla salita dell’ospedale militare, a due passi dal corso Vittorio Emanuele, dopo che qualcuno gli aveva sparato alla nuca un colpo di pistola calibro nove a bruciapelo?

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L’omicidio di Ciro ELia

Perché non si parla più della morte di un altro giovanissimo ammazzato alle spalle dell’orto botanico, dopo che per giorni e giorni di lui ci si occupò nell’immediatezza di un’uccisione che provocò scalpore e la solita buona dose di indignazione modellata sullo stereotipo della “città violenta”?
Di casi come questi ce ne sono a decine. Ma ormai quei fascicoli d’indagine giacciono abbandonati sotto una coltre di polvere: e a meno che un domani non arrivi la svolta grazie al solito collaboratore di giustizia di turno che tira fuori dal cilindro una verità dimenticata, c’è poco da sperare. Questo succede quando le indagini vengono liquidate con troppa fretta o quando non le si conducono con il dovuto rigore. Un omicidio o lo si risolve nelle prime 48 ore o resta impunito.
Ma una giustizia a due velocità non è una giustizia. Per il duplice omicidio di Franco Ambrosio e di sua moglie, massacrati nella loro villa di Posillipo, si mosse mezzo mondo (come ovviamente era giusto che fosse). Per i poveri cristi come Roberto Calenda, Ciro Elia e tanti altri la clessidra del tempo compirà ancora molti, troppi inutili giri, prima di perdersi nelle volte dell’eternità.

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Un pensiero su “Il suicidio delle indagini

  1. Rosanna

    Di questi casi con morti fisiche e morti psicologiche c’è ne sono svariate e di cui bisogna piuttosto dimenticare che occuparsene seriamente . Forse l’uomo ha perso la sua origine per interessi personali di varia natura che lo deliqualificano irrimediabilmente e quando qualcuno usa cervello e cuore nello svolgimento di qualunque lavoro , se la cosa non sta bene perché compromette dei progetti di altri, diventa importante provvedere con il trancio di libertà’ fisica…..

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